Come un festoso tornado, l’83ª Adunata nazionale degli alpini non è passata su Bergamo senza conseguenze, lasciando un’eredità di stimoli e riflessioni capaci di incidere profondamente sull’essenza stessa di una città a misura d’uomo e di elevata qualità della vita, ma anche fin troppo pragmatica e dedita al lavoro come preponderante, se non unica, filosofia di vita.
Dalla sera del 9 maggio quando si sono spenti i riflettori sull’indimenticabile invasione di una massa di gente festante cinque volte superiore alla popolazione della città Bergamo si è scoperta ancora più ‘alpina’ di quanto pensasse di essere. Perché ha trovato dentro di sé anche la sua seconda anima alpina, oltre a quella concreta e solidale che già sapeva di possedere: l’anima leggera che porta con sé la capacità di sorridere, di divertirsi, magari bevendo (perché no?) qualche buon bicchiere di vino che la gente orobica è di suo geneticamente portata ad apprezzare, senza abbandonarsi agli eccessi.
Dalla sera di quel 9 maggio, così, a Bergamo si è scatenato un acceso dibattito proprio su questo tema: gli alpini ci hanno lasciato una città più viva e aperta, ora non dobbiamo più tornare indietro. Lo dice la gente, che in quei tre giorni ha scoperto e si è goduta strade e piazze percorse mille e mille volte nella più assoluta indifferenza.
Lo dicono i commercianti, che in un momento di crisi nera hanno fatto registrare un volume d’affari di 60 milioni di euro. Lo dicono le istituzioni, in testa il sindaco Franco Tentorio che promette, e al tempo stesso chiede a tutti quanti, di lavorare ‘per una città sempre più viva’, pur sottolineando che ‘l’adunata è un evento irripetibile’. Una seconda, grande eredità dell’adunata più sentimentale ma non per questo meno significativa in un’epoca in cui per i sentimenti spesso non si ha tempo e magari si prova un po’ di vergogna è la riscoperta di simboli e valori come il Tricolore, l’Inno di Mameli, l’orgoglio di sentirsi italiani grazie a quell’eccezionale condensato di ‘italianità’ che sono gli alpini.
Bergamo per celebrare le ‘sue’ penne nere si è vestita a festa con 140 mila Tricolori, fasciando di verde, bianco e rosso i suoi simboli tradizionali come le mura veneziane che cingono Città alta e le colonne dei propilei neoclassici di Porta Nuova. Un fatto di cuore, non di facciata, se è vero che quei Tricolori sono ancora tutti lì, e nessuno se la sente di toglierli. Ci resteranno fino al 2 Giugno, Festa della Repubblica, e magari di passaggio consentiranno di riscoprire un’altra festa un po’ dimenticata, quella del 24 Maggio, sulla quale gli alpini qualcosa da raccontare ce l’hanno.
E poi arriveranno i mondiali di calcio, e chissà che non ci si metta anche la Nazionale a offrire qualche buon motivo per lasciarli lì. Per tenere vivo quell’incendio di orgoglio tricolore acceso nei giorni dell’Adunata da 500 mila scintille con la penna nera sulla testa.
Piero Vailati
Pubblicato sul numero di giugno 2010 de L’Alpino.