Padre Mario Picech
Sono purtroppo non alpino col cappello, ma cuore alpino, classe 1956. Grazie per lo spessore morale di tutta la rivista, sempre interessante; grazie, in particolare per il bell’articolo e testimonianza su padre Mario Picech, segno che la stirpe dei santi e dei profeti non si è smarrita, ma è presente, silenziosa e viva, in mezzo a noi.
Andrea Carlo Lanza, Mondovì
Un animo semplice
Anche se ci si avvia verso la primavera, lo sguardo e il pensiero alle montagne innevate ci richiamano alla mente il nevosissimo inverno di cento anni fa, quando nel 1916 le valanghe colpivano sulle Dolomiti più degli eserciti in lotta. Nella Valle del Biois contornata dalla Costabella e dalla Marmolada quei lontani eventi evocano ancor oggi il nome di don Costanzo Bonelli, che fra queste montagne vide la luce e conobbe la vita del montanaro, per tornarvi poi da sacerdote e cappellano dei suoi alpini, coi quali divise fino in fondo la sorte in guerra. Costanzo era nato nel lontano 1880 a Vallada Agordina (allora appartenente alla Pieve di Canale d’Agordo), in Andrich, uno dei sette villaggi di questo paese delle Alpi, vicino alla fontana e alla chiesetta dove ci si radunava per la preghiera comune.
All’inferno e ritorno
«L’altra sera, una chiara e fredda sera invernale spazzata dal vento, i miei piccoli, gli orfani dei miei alpini, dormivano tutti naufragati nei grandi letti bianchi della casa austera e serena da poco preparata per loro. Dormivano il loro sonno di seta, popolato di corse spensierate al paesello alpestre, nella grande casa ancora tutta da scoprire. E nell’oscurità frusciante di innocenti pensieri e di sogni ridenti, tornai a vedere gli occhi desti e trafiggenti dei miei morti. Lente e stanche le palpebre del sonno scendevano su di essi. I miei morti, finalmente, riposavano in pace».
Gorizia città alpina
Il raduno del 3º raggruppamento che si terrà a Gorizia, dal 17 al 19 giugno ha due temi principali attorno ai quali è stato predisposto l’intero programma della tre giorni, riportato nella guida allegata a questo numero de L’Alpino, con lo stesso filo conduttore legato alla memoria e al ricordo. Il primo tema è quello della commemorazione dei Caduti della Prima Guerra Mondiale: Gorizia è la città scelta dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia come fulcro degli eventi per l’anno 2016, ricorrendo nel mese di agosto il centenario dell’entrata delle truppe italiane.
L’Adunata più bella
CREMONA – La marcia dell’ultima notte
Sono stati oltre 150 i partecipanti alla prima edizione della “Marcia dell’ultima notte”, organizzata dal Gruppo di Castiglione d’Adda. All’imbrunire gli alpini sono partiti dal monumento ai Caduti e Dispersi in Russia, eretto nel piazzale della stazione di Casalpusterlengo (Lodi) e hanno percorso 7 chilometri di strade secondarie, nella campagna della Bassa Lodigiana, fino alla chiesina di Terranova dei Passerini.
Genesi di un santo
«Cari amici, noi ci domandiamo se don Gnocchi abbia esaurito il suo servizio sacerdotale alla Chiesa ambrosiana chiudendo gli occhi all’esistenza terrena, oppure se egli lo continui in una forma che non sia soltanto quella dell’efficacia della sua opera, della nostalgia della sua persona, ma in una missione permanente per la Chiesa di Dio».
Il linguaggio dell’arte
Forse neppure Pino Baù, di Prova di San Bonifacio (Verona) poteva immaginare quale forza comunicativa contenesse il linguaggio dell’arte. Lui, come noi, abituati a credere che il successo della vita dipenda dal percorso scolastico. A lui la scuola proprio non piaceva. Un po’ di avviamento dopo le elementari e un titolo di terza media, conseguito da privatista, ma, più che altro per mettere a posto le carte per garantirsi il lavoro.
Don Carlo e gli alpini
Sono trascorsi sessant’anni dalla sua dipartita eppure l’eco di don Gnocchi risuona ancora in tutti, alpini e non. È emblematico come quest’uomo, figlio di un artigiano del marmo, modelli la propria vita sulle orme di Cristo facendone un esempio luminoso che rifulge a distanza di anni continuando a (s)colpire le nostre vite. La sua è una carità trasbordante, quella che all’indomani dalla Russia mette in moto qualcosa di nuovo. L’esperienza della guerra con il suo alito di morte e neve lo cambia, ma è lui, in ultimo, a mutare il conflitto stesso, umanizzandolo fino alla creazione del fiore più bello, la Pro Juventute. Un’ancora di Pace nella fluttuante atrocità della guerra. E per una volta possiamo dire che la montagna partorisce un gigante. Un alpino instancabile capace di grande sensibilità e acume in grado di sollevare gli animi, specialmente dei più giovani, gli stessi che oggi tornano nell’occhio del ciclone. Prendiamo allora parte a questa sua eredità con la semplicità di quel sorriso che fa nuova la società!
Una geniale intuizione
Tra le carte e i documenti che riposano al Museo del Risorgimento di Milano alla voce Giuseppe Domenico Perrucchetti, l’argomento “alpini” non è trattato come ci aspetteremmo. Infatti per il Generale la formazione delle Compagnie alpine fu vista come una logica conseguenza dei suoi studi sulla geografia militare, sul controllo dei confini e sulla difesa nazionale. Sopra a queste carte Perrucchetti spenderà l’intera sua vita con energia, passione, ardimento, correggendole nel tempo, rivedendole, aggiungendo nuove osservazioni avanguardistiche e pubblicandole in diverse opere. Con un tratto frenetico (aveva una pessima grafia!) racconta la sua amarezza per non essere stato del tutto compreso. Molti dei suoi studi, infatti, vennero relegati a pubblicazioni accademiche, più teoriche che pratiche, suscitando riluttanza, invidie o indifferenza. Gli eventi però, smentiranno i suoi detrattori dandogli ragione. In quel raccoglitore polveroso c’è un mondo intrecciato di autentica passione, quello di un uomo temerario, molto polemico ma geniale che meriterebbe di essere studiato nella sua totalità. Il fatto d’essere ricordato come il “papà degli alpini” è solo un aspetto di un intelletto lungimirante e senza tempo.
Giovani, passione e sincerità
Ho deciso di scriverle in merito ad alcuni commenti particolarmente severi rivolti ai giovani contenuti negli ultimi numeri de L’Alpino. Vorrei lanciare un messaggio per difendere i giovani, i loro ideali e la loro ricettività verso il passaggio di testimone generazionale.