Sport è alpinità

    0
    55

    Lo sport, come molte delle attività umane, ha diverse espressioni. Per l’atleta vittorioso rappresenta la gloria, per chi lo segue solamente è puro svago, e per chi lo pratica è rispetto per il corpo e per la mente. Oltre a tutto ciò, per gli alpini lo sport è tradizione, festa, sentimento e lealtà. Sono questi i fili conduttori dei campionati delle penne nere; ad iniziare dal fatto che ogni anno sono ospitati in un luogo diverso, alimentando in tal modo non solo la forza organizzativa dei Gruppi ma anche il confronto con le istituzioni e gli enti territoriali, essenziali per lo svolgimento delle gare.

    La capacità di unire poi il “sacro” e il “profano” soprattutto nelle più piccole realtà è unica: i momenti che precedono la gara, come la Messa celebrata in una chiesetta di paese gremita come non mai, o una sobria cerimonia al monumento ai Caduti, abbellito e lustrato per l’occasione, sono momenti preziosi che hanno spesso la forza di unire generazioni lontane.

    Eh sì, perché anche in questo le gare alpine un incantesimo lo compiono; è quello di vedere ad esempio una giovane in squadra con l’amico settantenne alla gara di sci alpinismo, oppure due affiatati amici che provano a misurarsi con atleti più affermati. E questi ultimi che arrivando nelle prime posizioni restano al traguardo ad applaudire e ad incitare gli altri.

    La vera essenza dello sport la si nota ancor di più nelle gare dei campionati ANA a staffetta, dove l’atleta è un nulla senza il compagno. Sono forse queste le prove più belle che ci ricordano anche – e perché no – i tempi della naja, in cui chi suda, condivide gioie e dolori, mangia e beve con te, non potrà mai lasciarti solo. Cosa significhi sport e alpinità lo esprime magnificamente proprio una vicenda vissuta durante la naja e raccontata da un atleta alpino, una sera davanti al focolare…

    La leva era probabilmente diversa e ridotta nella durata rispetto ai decenni precedenti ma quella era, in ogni caso, la naja della fine degli anni Novanta, un periodo in cui molti coetanei migravano, forse più per comodità che per convinzione, verso il servizio civile. Durante il secondo mese di addestramento un giovane sottotenente che arrivava dai reparti sportivi, fu ordinato al comando della nostra squadra. Era un alpino tutto d’un pezzo e quando lo annunciarono lo dipinsero come un fissato dello sport, “degradato” dall’azione all’insegnamento a causa di un infortunio.

    Inquadrati con le nostre divise sembravamo tutti uguali ma in realtà eravamo lo specchio della variegata vita civile: diversi per provenienza, per estrazione sociale, per esperienze, per istruzione e per avvedutezza. Durante la prima settimana, mentre le altre squadre iniziavano l’allenamento, il sottotenente ci assegnò l’ingra- Sport è alpinità to compito di ordinare il magazzino della caserma, curando, in particolare modo, la pulizia delle tende da campo dei reparti che sarebbero andati in addestramento in montagna. “Ma che alpini sportivi siamo? – ci ripetevamo intenti a svolgere nervosamente l’incombenza – Noi a pulire in magazzino e gli altri ad allenarsi?!”.

    Arrivato il fine settimana il sottotenente, che nei giorni precedenti ci aveva osservato con insolito mutismo, annunciò bruscamente che non saremmo potuti andare in licenza perché non avevamo svolto bene il compito. Proteste su proteste che, ovviamente, non servirono a nulla. Le parole che ci disse mentre eravamo inquadrati nel corridoio antistante le camerate furono, probabilmente, uno degli insegnamenti più autentici mai ricevuti: “Il mio allenatore diceva sempre che molte cose dello sport sono come nella vita. Nel compito che vi ho assegnato dovevate collaborare. Il risultato non è stato raggiunto perché uno di voi – e fece il nome di uno dei meno svegli – ha disposto male i materiali. Tutti avete visto ma nessuno l’ha aiutato a non sbagliare. La prossima volta non pensate solo a voi stessi, ma ragionate come una squadra!”.

    Non servì un’ulteriore addestramento; quando toccò alla nostra squadra andare a faticare in allenamento eravamo molto più affiatati degli altri e avevamo imparato molto più di quello che serviva sapere.

    Matteo Martin