Sci. Una parola dalla pronuncia facile. Essa campeggia un istante sulle nostre labbra e subito ci rimanda all’immagine consueta della montagna intatta, bianca, armoniosa su cui volare tra la varietà dei pendii, inevitabilmente pervasi da quella gioia dello scivolare cadenzato sulla pista. Ma lo sci non è soltanto svago, è soprattutto una disciplina che racchiude in sé parecchie specialità tra loro tanto diverse. Diverse come le valli e le vette in cui si praticano. Questa storia ha inizio ai piedi del monte Bianco, tra le piste di fondo della Val Ferret.
Quassù si allena e cresce un talento, futuro campione del mondo nello sci di fondo, che dominerà la scena per oltre vent’anni. È Marco Albarello. Un fisico longilineo e imponente il suo, con vocazione e attitudini naturali alla tecnica classica del passo alternato e del passo spinta che non l’abbandoneranno mai neppure dopo l’esplosione dello skating. Prima di essere campione però fu alpino: “Durante il CAR a Cuneo non posso dimenticare i trentacinque, quaranta cubi che mi toccava fare e rifare ogni giorno.
Era la naja, era il 1977. Su tutti il ricordo più bello rimane il momento in cui mi misero il cappello alpino in testa: è questo il giorno che mi regalò l’emozione più forte. Segnava l’inizio, il mio”. Poi l’allora tenente Blua lo volle a Courmayeur, il suo paese. La testardaggine di questo giovane aostano unita alla caparbietà tipica della gente di montagna disegnarono una carriera destinata ad entrare nella storia dello sci nordico.
Una militanza nella squadra azzurra durata ventitré anni. Lastricata da momenti indimenticabili, come le due medaglie di Mariolina Cattaneo d’oro, la prima nel 1987 ai Campionati del mondo a Oberstdorf in Germania e la successiva nel 1994 a Lillehammer in Norvegia, ma anche da attimi di smarrimento dove ogni sforzo sembrava essere inutile. Dove i risultati tardavano ad arrivare, dove anche gli sci, proiezione di Marco sulla neve, sembravano tradirlo.
È in questa parentesi, passaggio inevitabile per ogni atleta, che si misura l’uomo. Nel buio dei riflettori spenti, nel silenzio del proprio animo turbato, Marco non molla. Arriva il suo turno. Riscuote quanto il destino gli aveva sottratto. Con gli interessi. Dieci titoli italiani assoluti vinti nella 15 e nella 30 chilometri, sempre a tecnica classica. Venti podi di Coppa del mondo, tre medaglie ai Campionati Mondiali Militari, un argento ai Mondiali di duathlon. Il ‘gigante di Courmayeur’ suggella così nel tempo il suo valore. Le sue capacità di adattamento e di sopportazione lo annoverano tra i capostipiti del fondismo italiano. Le sfide non finiscono mai per uomini come lui. Nemmeno quando, per ragioni legate all’età, si lascia l’attività agonistica. Sì perché Marco ha ancora tanto da insegnare ai giovanissimi amatori di questo sport.
È il suo nuovo sogno, attende una chiamata dallo sport italiano e noi siamo certi che non tarderà. ‘La mia vita è sulla neve, tra gli atleti. Vorrei insegnar loro la tecnica, ma ancor di più ad affrontare ogni situazione con determinazione e costanza’. Lunedì 4 febbraio il primo maresciallo luogotenente Marco Albarello illumina il tripode che segna l’apertura dei Campionati sportivi delle Truppe Alpine. Ultimo gesto significativo che chiude solo la carriera contributiva, passateci il termine, di questo Campione. Per quanto ha dato la ricompensa ufficiale più bella restano gli abbracci del generale Graziano, dell’ammiraglio Binelli Mantelli e del presidente Perona proprio durante la cerimonia d’inizio dei Ca.STA. Un gesto semplice, inaspettato. Crediamo che i rigidi cerimoniali militari, perché conservino l’antico valore, il più nobile, debbano essere alle volte infranti dalle dimostrazioni istintive della riconoscenza e della stima, spontanee per natura.
Per Albarello una sorpresa tramutatasi d’un lampo in un’emozione mai provata. O forse sì. Quel giorno, il primo, in cui calcò il cappello alpino. Ieri l’inizio. Oggi il traguardo. Due momenti lontani eppure simili. Come la partenza e la fine di una gara quando maggiore si sente lo sforzo e incombente si fa la preoccupazione circa il risultato. Forse perché il traguardo non è semplicemente l’arrivo, ma piuttosto una nuova prospettiva da cui partire. Tagliandolo si è travolti dalla gioia istintiva, impetuosa. Seguono le valutazioni, la consapevolezza dei propri errori e dunque dei propri limiti. Limiti mobili che possono essere superati con la fatica, quella che premia. Un’alleanza eterna tra corpo e mente che permette a un atleta di guardare lontano. Ogni volta, un po’ di più.
Mariolina Cattaneo
CON L’ORO OLIMPICO
Nato ad Aosta il 31 maggio 1960, il Primo Maresciallo Luogotenente Marco Albarello entra a far parte del Centro Sportivo Esercito nel 1977, arruolato come atleta di sci di fondo. Dal 1977 al 1998 i successi sportivi sono innumerevoli, tra cui cinque medaglie ai Giochi Olimpici Invernali e quattro ai Campionati del Mondo: questi numeri lo annoverano di diritto tra i migliori fondisti italiani di sempre. Terminata la carriera da atleta, Albarello diventa in breve tempo Direttore Agonistico delle Squadre Nazionali Italiane di sci di fondo, ruolo che ricoprirà fino al 2007, anche qui ottenendo risultati di prestigio, su tutti le cinque medaglie conquistate in occasione delle Olimpiadi di Torino 2006. Dal 2008 a oggi, riveste l’incarico di Capo Dipartimento Agonistico del Centro Sportivo Esercito – Sezione Sport Invernali.
ALBARELLO PARLA DI RAZZOLI
Il maestro e l’allievo d’eccellenza Quando ho avuto la fortuna di conoscere bene la famiglia di “Razzo” (così chiamiamo Giuliano Razzoli) ho capito il perché dei suoi stupendi risultati e della forza del suo carattere. Un vero alpino, la figura che più assomiglia alla mia persona . Un ragazzo di doti concrete, serie e non costruite. Generoso, pacato, professionale ed attaccato alle sue origini ed ai suoi luoghi.
Un alpino emiliano che si è fatto da solo, aiutato soltanto dalla famiglia e dalla sua terra. Ha stupito il mondo conquistando quella stupenda medaglia d’oro Olimpica, dall’altra parte dell’oceano, a Vancouver nel 2010. Quest’anno ai Mondiali non è stato fortunato, ma nella sua manche era, fino a prima dell’uscita, l’unico ad avere degli intermedi che si avvicinavano a sua maestà Irscher. Un segno questo (dopo tutti i problemi avuti durante l’anno…), di abnegazione sul lavoro, volontà non comuni e concretezza.
La fortuna come sempre fa parte del gioco: questa volta non gli è stata amica, ma sicuramente la prossima volta si ricorderà di lui. Ho detto prima che “Razzo” è la figura che più si identifica con il sottoscritto, per due semplici e realistici motivi. Il primo è che mi sembra di vedere, nella sua, la mia famiglia che con enormi sacrifici mi ha consentito di ottenere questi risultati. Il secondo è che ogni volta che parlo con Razzo, mi chiede come mai è ancora solo 1° C.le Maggiore… Segno di appartenenza ad un gruppo, ad una famiglia che lo ha accolto e che da lui ha ricevuto tanto e a mio parere deve ricevere ancora molto, perché l’alpino Razzoli non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità.
Quale occasione migliore nel prossimo anno poter difendere quella medaglia d’Oro che incamera tutti i sentimenti più radicati nell’essere alpino? In bocca al lupo “alpino Razzoli”, il tuo “vecchio” maresciallo crede in te.
Marco Albarello