Rubrica aperta ai lettori.
BARCOLLO MA NON MOLLO
Ad ogni Adunata nazionale si ripete lo spettacolo, spesso poco serio, degli slogan sulle magliette in vendita nelle numerose bancarelle, più o meno legali, sparse per la città ospitante. Accanto ad alcune affermazioni decisamente goliardiche, dove il doppio senso la fa da padrone, da qualche anno se ne sono aggiunte altre legate ad usurati luoghi comuni. ‘Barcollo ma non mollo’ è una di queste, riportata anche nei gavettini di vecchia memoria. Naturalmente il vino è il riferimento. Barcollo perché sono mezzo ubriaco, ma non per questo smetto di bere. Quasi fosse un punto di merito bere fino a ridursi ad un essere privo di dignità e di umanità. L’intelligenza umana, che talvolta raggiunge vette altissime attraverso scoperte straordinarie, spesso soccombe davanti agli istinti più animaleschi; già la mamma degli stupidi è sempre incinta. Eppure, se cambiamo il riferimento, barcollo ma non mollo, potrebbe essere uno slogan bellissimo. Mettiamo da parte il vino, per favore, e sostituiamolo con la vita, con la società, con la salute. Ecco allora che ‘barcollo’ diventa una linea di resistenza alle difficoltà morali e materiali della vita. In quel lieve ondeggiare, sotto la spinta degli eventi, sta la nostra forza, la nostra volontà di non arrenderci davanti agli ostacoli. E ‘non mollo’ è rafforzare questi convincimenti con una dichiarazione perentoria, come dire: questa è la mia linea del Piave, di qui non si passa. Terrò duro fino al sacrificio estremo a difendere le mie idee, il mio modo di concepire la società e la vita. Basta cambiare il riferimento. Da affermazione figlia della stupidità, a linea di demarcazione fra il bene ed il male. Chissà se gli alpini, quando passeranno davanti alle bancarelle e leggeranno la scritta, penseranno al vino o alle difficoltà della vita.
Dino Danieli
150°, MA QUALE UNITÀ D’ITALIA?
Verrebbe da pensare che quest’anno stiamo celebrando i 150 anni dell’unità di un’Italia sempre più divisa da colori, contrasti, controversie, controsensi. Da cose insomma dell’altro mondo. Accendiamo il passatempo, nonché mezzo d’informazione tv preferito dagli italiani, quello che dovrebbe dirci tutto sui fatti del giorno e ci troviamo davanti i volti dei nostri politici che si insultano, si calunniano e si invitano vicendevolmente a tornarsene a casa. Sembra, insomma, che invitarsi reciprocamente a togliersi dai piedi sia l’unica cosa da proporre, con tutti i problemi che ci sono dentro e fuori il nostro Paese, dove la stessa natura, forse ai limiti della sopportazione, alza la voce per dire “basta!”: alluvioni, terremoti, disastri di ogni genere che dovrebbero far riflettere un po’ di più sulle cose importanti. E allora ritorna l’interrogativo: ma cosa stiamo celebrando, l’unità d’Italia? Qualcuno sostiene che è la televisione a stravolgere immagini e notizie, ma in questo caso si tratterebbe di playback di altissima qualità, perché le labbra si muovono in maniera perfetta, in perfetto sincronismo con le parole, anzi con le parolacce! E allora sono proprio loro che parlano, o meglio, che si insultano! Ma esiste anche un’altra Italia, quella dei testi di storia che ai tempi della scuola ci sembrava noiosa e superata: lì c’è l’Italia unita, quella dei ragazzi del Risorgimento, della Grande Guerra e del sacrificio della seconda, con o senza stellette. La nuova storia, che i nostri nipoti studieranno domani, per fortuna continua con la migliore gioventù, quella che sarebbe un tempo andata in trincea e che oggi va a ridare speranza a chi non ce l’ha. La gioventù non è solo quella che i media preferiscono farci vedere e condannare, è anche quella del sacrificio quotidiano della fabbrica, del cantiere, del volontariato o della missione di pace. Sono loro i principali Valori da coltivare, perché inesauribili e continuamente rinnovabili.
Flavio Gollin
COSA CI È STATO TOLTO
Se provo a cercare nell’incredibile biblioteca dei miei ricordi, le prime immagini di un alpino che mi tornano alla mente sono quelle di mio nonno, mio padre e mio zio che si preparano per uscire di casa per andare ad una manifestazione di paese. Avrò avuto forse tre anni e quando li vidi tutti e tre con quel cappello ricordo che, preso dalla voglia di emulare la loro immagine, iniziai a chiedere a mia madre di averne uno tutto per me. Fui accontentato e così, senza sapere ancora nulla della storia che quel simbolo, quell’icona rappresentava per la storia d’Italia, iniziai a gironzolare per casa scimmiottando i grandi. Solo con il passare degli anni e seguendo la mia famiglia nelle varie manifestazioni e impegni che quasi liturgicamente impegnavano l’anno solare, imparai a conoscere quel meraviglioso gruppo di persone. A comprendere cosa significasse esserne parte devo però, in tutta sincerità, dire che ci sono voluti alcuni anni. Come molti stolti che nella loro ignoranza fanno oggetto di derisione ciò che non sono in grado di comprendere, anch’io nella mia adolescenza diedi una valenza caricaturale alla figura dell’alpino, che numerosi luoghi comuni vogliono maggiormente dedito al culto di bacco. L’esperienza che solo il savio può avere, mi ha fatto comprendere la profonda fratellanza che unisce la più grande associazione d’Italia e che tanto fa amare alla gente queste persone. È in errore chi pensa che le riforme legislative che han portato all’ormai quasi decennale all’abolizione della leva obbligatoria, siano un bene. È stata tolta, e non data, un’opportunità a quei giovani che in quell’anno o poco meno della loro vita avevano la possibilità di avere un’esperienza formante sotto molteplici aspetti e che li avrebbe aiutati per tutta la vita.
Gabriele Truccero