Un applauso al "Signore delle cime"

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    Sono un corista del coro ANA Roma da quasi 50 anni e, come amico degli alpini, ricevo e leggo la rivista. Sono rimasto stupito che si sia accesa una polemica sul notissimo brano di Bepi De Marzi “Signore delle cime” le cui parole sono essenzialmente una preghiera, una richiesta dell’eterno riposo per un Caduto; è una preghiera cantata e, come dicono le parole attribuite a Sant’Agostino, “chi canta bene prega due volte”. Si può pregare cantando con le parole di Signore delle cime o con “L’eterno riposo”, o con un brano del Requiem di Mozart, o perché no, del Requiem di Verdi, ma l’importante è cantare e pregare con il cuore, cioè “bene”, come diceva Sant’Agostino. Distinguere se la canzone di De Marzi sia per alpinisti o per alpini mi pare una questione di lana caprina.

    Quando, alla fine della “scalata” della nostra vita ci presenteremo davanti al Signore, uomini e donne, non saremo giudicati per le scalate che abbiamo fatto o per il grado militare raggiunto, ma solo ed esclusivamente per il modo in cui siamo stati capaci di amare e di fare “la volontà del Padre”: essere stati alpini o alpinisti, o tutte e due le cose, o nessuna di esse, conterà poco o niente se non avremo vissuto da buoni cristiani. E allora, che ognuno preghi e canti “bene” e accetti che anche gli altri lo facciano nel miglior modo di cui sono sinceramente capaci. Del resto, sempre pensando a Mozart, le parole con cui si conclude il “Lacrimosa” dicono: “Giorno di pianto quello in cui risorgerà tra le faville il colpevole, per essere giudicato.” Forse sono un po’ più serene e attuali le parole di “Signore delle cime”, o no? A ognuno i suoi gusti, ma senza polemiche inutili.

    Rodolfo Gamberale – Roma

    Caro Rodolfo, hai proprio ragione. La verità è sempre quella delle intenzioni che vengono da dentro. Mai fidarsi della forma. Il mondo è pieno di teatranti, che recitano copioni senza verità interiore. L’importante è essere veri lì, nella coscienza. Il resto è chiacchiera.

    Per l’incomprensibile polemica sulla preghiera espressa in “Signore delle cime” mi basterebbe quanto scrive Giovanni Scola, nelle lettere al direttore dell’ultimo numero de L’Alpino. La definisco incomprensibile perché proprio non capisco la necessità di stabilire una distinzione fra alpini e alpinisti. Scrivo per dare soddisfazione alla moglie di un amico alpino scomparso da poco tempo, al cui funerale il coro Valli Grandi ha cantato l’incriminata canzone. Era un alpino di pianura che in vita ha onorato quel cappello che portiamo, pienamente consapevole della responsabilità di un’eredità che ci è stata donata. Appartengo ad una terra che in tempo di pace ha pianto la morte di giovani alpini di leva a causa di una slavina che ha stroncato le loro esistenze. Libero chiunque vuole di scegliere per il proprio funerale il requiem di Mozart, senza applausi; ma ci lasci sognare, senza stizzirsi, commossi, quando salutiamo le persone a noi care, coltivando il sentimento della speranza, alimentata anche dalla poetica canzone del Maestro De Marzi.

    Maurizio Mazzocco – Legnago (Verona)

    Maurizio, se a me toccasse prima di te (tocco ferro!), fammela cantare.

    Volevo scrivere al direttore in merito alle lettere a proposito del canto “Signore delle cime” di Bepi de Marzi. Come avevo già scritto in precedenza faccio parte di un coro da 33 anni, nel nostro repertorio abbiamo anche il celebre canto di De Marzi, tutti cantano solo le prime due strofe, che in effetti ricordano più gli alpinisti, però volevo precisare che nel brano vi è una terza strofa, che è dedicata proprio agli alpini e dice testuali parole: “Dio del cielo, l’alpino che è caduto ora riposa nel cuor della montagna, noi ti preghiamo, una stella alpina lascia cadere dalle tue montagne”. Non voglio suscitare altre polemiche, ma col mio coro, il coro Costalta di Baselga di Pinè (Trento), lo abbiamo cantato anche venerdì 15 febbraio durante una serata dedicata al monologo “Non tutti tornarono” di Alfonso Masi, dedicato al ricordo della Brigata Tridentina nella ritirata di Russia. Io penso che al di là di tutto bisogna riflettere e giustamente cantare queste canzoni, o suonarle in quelle circostanze che lo richiedano, anche perchè hanno delle parole ed un significato importante.

    Mattia Boschini – Baselga di Pinè

    Continuate a cantarlo che tutti, alpini e non alpini, continueranno a commuoversi.

    Ho letto non senza stupore i due solenni richiami all’ortodossia canora pubblicati dal nostro mensile nei mesi di gennaio e febbraio di quest’anno. Due accorati appelli dove si manifesta l’insopprimibile indignazione (il primo non ne può più, mentre il secondo è stufo) verso la deprecabile abitudine di cantare “Signore delle Cime” sempre e ovunque alle nostre cerimonie e manifestazioni “…soprattutto in forma quasi esclusiva alle esequie di alpini andati avanti”. Quale recondita ragione avrà mosso cotanto sdegno verso uno dei pilastri della coralità alpina e di montagna? Una serie di esecuzioni particolarmente infelici? L’introduzione di una strofa blasfema? Niente di tutto ciò. Semplicemente il fatto che “…il canto Signore delle Cime è un bellissimo canto. È un bellissimo canto per e degli alpinisti. E gli alpinisti sono una cosa, gli alpini un’altra”. Ancorché ad alcuni possa apparire una sfumatura cavillosa, la differenza è palese e formalmente inoppugnabile. Preso quindi atto di quanto precisato, e prima di interrogarsi sulle profonde ragioni di tale indebita appropriazione sino a oggi perpetrata, occorre risolvere nell’immediato un problema di ordine pratico: quali canti d’ispirazione alpina possono essere eseguiti in occasione delle esequie di alpini andati avanti? Personalmente, così d’istinto, mi vien da pensare a “Stelutis Alpinis” ma, a voler essere precisi, come direbbe il mio amico Mauro, bisogna considerare che tale canto è stato composto per i Caduti della prima guerra mondiale e, se anche volessimo estenderlo a tutti gli alpini, occorrerebbe comunque che la dipartita fosse avvenuta in modo cruento (“dal miò sanc l’è stat bagnat”). Scartato quindi Stelutis, si potrebbe optare per “Il Testamento del Capitano” ma, sempre per essere precisi, rimarrebbero comunque esclusi gli alti ufficiali, tutti i sottoufficiali e la truppa. Nell’attesa che una commissione appositamente costituita si pronunci sulla vexata quaestio, consiglierei a tutti coloro che volessero comunque per l’estremo commiato “Signore delle Cime”, di redigere una sorta di “testamento canoro”, così che l’esecuzione del brano in questione non appaia una scelta arbitraria di terzi ma l’espressione della volontà del De Cuius. Noi non sappiamo se lassù, nel Paradiso di Cantore si legga L’Alpino: ma se così fosse, immagino la reazione divertita dei trapassati i quali, prendendo spunto dal grande Totò, potrebbero così commentare: “…sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte!”.

    Carlo Traverso – Fraconalto (Alessandria)

    Colpito e affondato! Chi ha buontempo, ovviamente.

    È in corso sul nostro giornale una polemica sulla valenza del canto “Signore delle Cime”, della quale non si comprendono il motivo ed il fine. Penso che l’unica cosa da dire sull’argomento sia che il brano è un impareggiabile ed ispirato regalo del maestro De Marzi al mondo della montagna, e che la preghiera in esso contenuta abbia un valore per ogni Caduto che alla montagna appartenga per motivi di guerra, lavoro, sport etc. Che poi il canto o la sua musica senza parole vengano eseguiti anche in contesti diversi da quelli ritenuti congrui perché lontani dalla montagna, significa solo che la sua bellezza e il commovente significato di preghiera e saluto per qualcuno che “è andato avanti” hanno un valore universale. Spero dunque che questa inutile diatriba si chiuda, dicendo solo grazie a Bepi De Marzi per questa e altre numerosissime perle musicali da lui concepite e donate a tutti coloro che montanari sono o si sentono per qualsiasi motivo.

    Fabio Zampieri – Belluno

    Ho pubblicato queste lettere riguardanti tutte lo stesso argomento. Sapete perché l’ho fatto? Perché volevo che fosse un grande battimani a Bepi De Marzi. La bellezza, tutta la bellezza, compresa quella musicale, è patrimonio dell’umanità. Ragionare per categorie è logica da clan, non certo da amanti della musica vera.