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domenica, 4 Maggio 2025

Una provocazione

Suggerisco di organizzare uno dei prossimi raduni a Scampia, Napoli. Forse è la volta buona che le strade vengono pulite, i muri puliti ecc… Tutto quello che è il vivere civile ed una vostra presenza potrebbe solo che fare bene.

Marino Visentin

In segno di gratitudine

Nel numero di dicembre di Qui Magazine, edizione di Treviso, il sindaco Giovanni Manildo ha pensato bene di inviare gli auguri ai suoi concittadini indossando il cappello alpino. Pur essendo ancora memore e riconoscente verso il rappresentante della città che ci ha accolto per la nostra ultima Adunata nazionale non posso non stigmatizzare questa, a mio parere, scorrettezza; si è sempre giustamente detto: nessuna commistione tra politica ed alpini!

Alberto Bertozzi Gruppo e Sezione di Modena 

Vittorio Emanuele III

La salma di Vittorio Emanuele III è rientrata in Italia, da Alessandra d’Egitto, per essere collocata a Mondovì accanto a quella della moglie regina Elena. La notizia ha suscitato immediatamente dissenso, proteste e anche inquietudine per coloro che, come Israele, non dimenticano la legge razziale, firmata purtroppo dal re nel 1938. Ad alimentare lo sconcerto di molti italiani ci ha pensato il pronipote, (invitato e chiamato principe dal conduttore in Tv di Porta a Porta). Emanuele Filiberto, infatti, ha sostenuto che “il posto della salma del bisnonno è al Pantheon”. Personalmente ritengo che il corpo di un essere umano, anche se responsabile di decisioni delittuose va rispettata, ma collocarla al Pantheon o alla cripta reale di Superga è un inaccettabile tentativo di sovvertire la storia. 

Non scandalizziamoci

Quando leggo su L’Alpino qualche lettera che disquisisce sull’uso o abuso del cappello alpino o esibisce un patriottismo che mal nasconde un anacronistico nazionalismo o peggio un razzismo, mi viene la tristezza e lo scoraggiamento. Ma poi vado avanti e leggo del ponte dell’amicizia di Nikolajewka e dell’Asilo Sorriso di Rossosch e della ricostruzione in Centro Italia e mi rinfranco e mi riconcilio con la mia Associazione, con il mio Paese, con tutti i paesi del mondo.

Chissà perche

Alla Messa di commemorazione per i 70 anni dalla morte di re Vittorio Emanuele III presso il santuario di Vicoforte, dove di recente sono state posate le sue spoglie, era presente un signore che indossava il cappello alpino. Anche se solo a titolo personale credo che il cappello alpino vada indossato per altre occasioni.

Giuseppe Avico 

Sulla nostra Preghiera

Ci risiamo con la Preghiera dell’Alpino. Ma quando finisce questa storia? Possibile che questo problema esista solo nella provincia di Treviso? Forse i sacerdoti trevigiani seguono un altro culto o un altro Vangelo che è diverso dal resto d’Italia? 

Sul ponte di Perati

Ho letto su L’Alpino il ricordo della visita sul ponte di Perati dell’alpino Giovanni Zarpellon e il tuo commento sulla necessità “di investire maggiormente sullo studio di quanto accaduto in quelle terre”. Concordo quando scrivi che “Baskim, con gli alpini, riesce sempre a far rivivere momenti di grande intensità”. Anch’io sono stato lì con Baskim e in quel posto per noi sacro, vi ho posto un guidoncino del Gruppo di Riva del Garda. 

Il cappello in eredità

Mi piacerebbe pensare che un domani il mio, e se vi piace i nostri cappelli alpini, possano andare di diritto ad uno dei figli, senza distinzione di sesso, ereditandone loro la responsabilità alpina di conservazione e preservandone cosi, anche la tradizione. Un bell’atto, quasi notarile, stipulato sotto il tetto di casa. 

Cos’è una fanfara?

Sono un bersagliere, classe 1936, assiduo lettore de L’Alpino. Ho notato che fra le numerose lettere inviate al direttore, vengono approfonditi, fra tanti, anche interessanti argomenti storici. Ebbene, da sempre, i bersaglieri sostengono che il termine “fanfara” è specifico di un complesso musicale composto esclusivamente da ottoni, come è, appunto, la fanfara dei bersaglieri. 

“Non passa lo straniero”

Scrivo in merito alla parola “straniero” nella lettera di Beppe Parazzini su L’Alpino di dicembre. Arguta, originale e persino inquietante l’osservazione del Presidente emerito. Risveglia in me due considerazioni. La prima si appoggia alla “saggezza del poi” ossia, si potrebbe dire, dovevamo pensarci prima, almeno una settantina di anni fa e il problema “emigrazione” forse non sarebbe assurto ai livelli che oggi constatiamo. 

Il bilancio economico dell’Ana

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