Anche a Intra un monumento all'alpino
Nel numero di ottobre ho letto del monumento di Stresa al mulo. Concordo con il tuo giudizio, ma mi preme farti notare che la città di Verbania, sede della sezione Intra che presiedo, manca di un monumento alle Penne nere. Pertanto ho proposto al consiglio sezionale, che ha condiviso, di inaugurare un Monumento all'alpino che non è tornato in occasione dell'85º della sezione. Con l'occasione la sezione ha stampato il calendario 2005 dovuto a un'idea del socio Sergio Morari del gruppo di Intra Centro.
Emilio Carganico Intra (VB)
Non posso che plaudire alla tua iniziativa: una città di così forti tradizioni alpine come Verbania non può ignorare i soldati con la penna. In questo contesto il calendario, ottimamente impostato, rappresenta un valido corollario ai festeggiamenti
La sacralit della nostra Bandiera
Ritengo che il Tricolore dovrebbe rappresentare per tutti gli italiani la sacralità della Patria, ma noi lo vediamo sventolare in manifestazioni calcistiche o, peggio, politiche, dove diventa un mezzo per mostrarsi. In realtà i molti che lo ostentano non sanno che è un emblema sacro. Non è la bandiera dell'Inter (mi scuserà Peppino Prisco di lassù) né quella di un qualsiasi partito.
Gaetano Agnini Desenzano
Si può essere in disaccordo con te? Amaramente debbo aggiungere che buon per noi che compaia negli stadi, e solo per la Nazionale mi raccomando, altrimenti il mare di biancorossoverde esisterebbe solo nelle nostre Adunate, da quella nazionale a quelle di gruppo.
La medaglia d'Oro Antonio Giuriolo
Nel numero di settembre è apparso l'articolo 8º Alpini, cittadino onorario di Arzignano (VI) . In esso non è stato ricordato, tra le altre personalità che hanno onorato la cittadina, la Medaglia d'Oro, capitano degli alpini Antonio Giuriolo, caduto a Corona, comune di Lizzano (BO) nel dicembre 1944. Il cippo che lo ricorda, inaugurato dal presidente Ciampi nel 2001, è affidato alle cure del gruppo alpini di Lizzano.
Clara Castelli Lizzano in Belvedere
Prendo doverosamente atto e riporto con piacere la notizia: una nostra Medaglia d'Oro non è mai abbastanza onorata. E con lui anche tutti gli altri alpini che hanno dedicato se stessi, in pace e in guerra, alla Patria.
Il valore del nostro cappello
A proposito del futuro dell'ANA c'è chi dice che dobbiamo rassegnarci a quanto decide lo Stato e che il problema vero non è se saremo ridotti di numero ma se riusciremo a salvare gli ideali dell'Associazione. Quello che mi meraviglia è che costoro fanno del sarcasmo su chi considera sacro il cappello alpino e definisce questa affermazione facile retorica, ingenuità o, peggio, stupidità . È vero che il cappello non può essere sacro, ma lo sono i valori che esso rappresenta. Ma poiché i valori sono una cosa astratta ci vuole pure qualcosa di concreto che li sostenga. E quale oggetto può essere più significativo del cappello che ci accompagna dal 1872? Allora dico ai denigratori: lasciamo che questo oggetto conservi per gli alpini veri quel tanto di sacralità atto ad onorare un passato di gloria e non parliamone a sproposito.
Germano Affaticati Bresso (MI)
La tua analisi parte dalle affermazioni di un alpino apparse su una rivista sezionale. Acuta la tua tesi della doppia dipendenza tra cappello e ideali; due caratteristiche, l'una concreta l'altra astratta, che si completano a vicenda. Però mi sento di aggiungere che il cappello, pur sacro, non deve diventare oggetto di un inopportuno feticismo.
Sentirsi alpino
Ho fatto di tutto per fare l'alpino, ma il destino non ha voluto così. Però mi sento alpino anche se non ho fatto quei miseri due mesi di naja alpina; partecipo ai raduni, indosso il cappello di mio nonno, reduce, andato avanti tre anni fa. So di sbagliare ma il cappello lo porto con tutto il rispetto che merita. Vi chiedo: è espressamente la naja alpina a creare gli alpini oppure alpini si nasce?
Lettera firmata
Al momento la risposta non può essere che quella insita nello Statuto: chi non ha fatto almeno due miseri mesi di naja alpina non può godere dei privilegi degli alpini d.o.c. Del resto, il problema è stato più volte sollevato dagli Amici degli alpini. Per ora, comunque, le regole sono queste. Ma è proprio necessario avere il cappello per sentirsi alpino?
Le lettere al direttore
Ritengo che le sue risposte alle Lettere siano tese a omologare L'Alpino in un unico senso. Chi legge deve sentirsi libero di dare un'interpretazione personale ai fatti e di farsi un'idea critica. La montagna ci insegna a non selezionare, a non dividere; non si devono mettere limiti sociali e culturali tendenti a una sterile selezione preventiva. L'Alpino dovrebbe rivolgersi a tutti i lettori per non far sentire qualcuno escluso.
Bruno Ruggeri Ghedi (BS)
Se ho ben capito tu vorresti che rispondessi a tutti senza fare una scelta. Ricevo settecento lettere e mille messaggi all'anno e rispondo personalmente al 95 di essi. Da essi traggo circa centoventi Lettere : se dovessi inserire tutti, non mi basterebbe un'enciclopedia. Di certo la scelta non è fatta a caso o per simpatia, ma in base all'interesse che la lettera può suscitare.
Aviere o autiere (alpino)?
Ho prestato servizio a Merano come VFA nel 24º rgt. di manovra che alla visita di leva mi era stato descritto come Corpo alpino . Partii ma a Merano, durante il CAR, ci dissero che eravamo avieri e non alpini. Infatti portavamo le mostrine nero blu da aviere e il cappello con il fregio da aviere! Mi sentii ingannato dallo Stato, ma nel cuore mi sentivo e mi sento tuttora alpino.
Paolo Brunelli Salò
Ma chi le ha detto che lei era aviere? Temo tanto che lei per dodici mesi abbia confuso il termine aviere con autiere. Lei è alpino a tutti gli effetti, gli avieri li lasci negli aeroporti. Il fregio e le mostrine sono del vecchio Corpo automobilistico alpino, il cappello è da alpino, la sua naja è stata da alpino: cosa vuole di più?
Essere, non apparire
Sono rimasto colpito dall'articolo di ottobre sull'esercitazione di P.C. a Borgotaro. Colpito perché chi si è spaccato la schiena per 20 ore al giorno per realizzare questa manifestazione non è stato preso in considerazione. Trovo giusto ringraziare i miei ragazzi e le mie ragazze per quello che hanno fatto senza la smania di apparire o di indossare l'uniforme della P.C. solo per le sfilate.
Michele Iotti Salsomaggiore (PR)
Se tu rileggessi i miei articoli noteresti che rifuggo sempre da aridi elenchi di nomi e di numeri che vellicano l'ego di ciascuno di noi, ma che servono a poco. Nec videar dum sim dicono il 5º alpini e il vescovo di Parma: io cerco di attenermi a questo bellissimo motto, a cominciare da me stesso. Interessa sapere cosa si è fatto, non chi lo ha fatto.
Quell'inno polacco, dalla terra italiana
Al mio rientro da Luino, desidero raccontare un episodio comune a polacchi e italiani. Più di duecento anni fa, dopo lo smembramento della Polonia tra Austria, Prussia e Russia, migliaia di soldati polacchi emigrarono in Lombardia per preparare la liberazione della propria Patria. Il generale Henryk Dabrowski concluse un accordo con la neonata repubblica Cisalpina e subito 20.000 polacchi furono pronti per la lotta. Vestiti con l'uniforme polacca, portavano sulle spalline il vostro Tricolore. Napoleone controfirmò l'accordo. Il loro inno fu scritto, a Reggio Emilia, dal tenente Giuseppe Wybicki; esso fu cantato per la prima volta il 3 maggio 1798 e oggi è l'inno nazionale polacco, nato in Italia. I legionari combatterono su vari campi di battaglia italiani e nel 1806 liberarono la prima città polacca, Poznan, sotto la guida del generale Dabrowski.
Henrik Skrzypinski Bydgoszcz (Polonia)
Capo delegazione dei Carpaziani al XIX Congresso IFMS di Luino Su richiesta del presidente di Luino Sergio Bottinelli, cui era indirizzata, pubblichiamo questa lettera scritta in buon italiano dal presidente dell'associazione carpaziani polacchi iscritta all'IFMS. La pubblichiamo volentieri perché dimostra come i polacchi abbiano sempre guardato con simpatia all'Italia con la quale nel XIX secolo hanno condiviso lotte e sacrifici per raggiungere l'unità e l'indipendenza. E fa piacere che nel loro inno nazionale compaiano le parole: Marcia, Dabrowski, dalla terra italiana alla Polonia; sotto la tua guida riuniremo il nostro popolo .
Dall'Argentina… con nostalgia
La sfilata a Trieste della sezione Argentina, accompagnata dal coro sezionale, è stata emozionante per gli applausi da parte del pubblico che gridava Evviva a noi e all'Argentina. A Zegliacco, presso Gemona, il coro ha cantato anche la nostra canzone preferita Las dos Banderas , il canto delle due Patrie, riscuotendo un notevole successo.
Pio Rafaelli Buenos Aires
È bello ricevere lettere come la tua, nella quale hai trasfuso tutto il tuo entusiasmo e tutta la tua alpinità. La sezione ANA Argentina, così distante in termini chilometrici ma così vicina in termini affettivi, è sempre ben presente nel nostro cuore. Come tutte le sezioni all'estero peraltro!
Quella canzone stonata
Moglie di un alpino, non manco
mai alle manifestazioni dell'ANA.
A Trieste ho colto una nota stonata:
l'esecuzione durante la sfilata
di una sezione della canzone Bella
ciao . Anche alcuni triestini che mi
erano accanto hanno sottolineato
come la canzone fosse inopportuna,
avendo Trieste sofferto per colpa
degli uni e degli altri. Al di là del
fatto che l'ANA è di tutti.
Giusy Asperti Treviglio (BS)
Bella ciao è una canzone assunta
come emblema dai partigiani. Concordo
sul fatto che sia stato inopportuno
eseguirla durante la nostra sfilata;
questo, non solo per il risvolto
politico che alcune frange partigiane
hanno voluto darle, ma anche perché
il suo ritmo mal si adatta al nostro
passo che è lento e solenne, ottimamente
scandito, invece, dal
Trentatré.
Alpina… in fieri
Il nostro nuovo parroco è stato cappellano militare e in poco tempo ha inculcato in noi giovani una certa stima per le Forze armate. Sono figlia di un alpino, con nonno materno alpino, so quindi cosa voglia dire la passione per qualcosa, specie quando si tratta della vostra Specialità.
Chissà se anch'io posso fare qualche cosa di buono? Mi immagino già in uniforme.
Francesca Subrizi Villavallelonga (AQ)
Anzitutto complimenti al suo parroco che sa parlare ai giovani; poi un benvenuta fra noi qualora decidesse di abbracciare la vita militare. Negli alpini, ovviamente.