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domenica, 25 Maggio 2025

L'onorificenza a Tito

Leggo su L’Alpino di marzo l’articolo “Non dimentichiamoli” di Burresi che nella terza colonna dice “Ben pochi sanno…” e mi dico “ecco un’altra perla tutta italiana”. Chissà cosa pensano i parenti dei poveri infoibati e gli esuli, leggendo che lo Stato italiano abbia conferito la massima onorificenza allo stragista Josip Broz, alias Tito.

Tornare ad essere alpino

Mi permetto di darti del tu dato che un sottile filo comune ci lega: come te ho iniziato la naja alla SMALP di Aosta, 14° corso ACS nel 1967. Ti scrivo riguardo le lettere al direttore “Capitano quaquaraqua” del novembre 2013 e “Riscoprirsi alpini” del marzo scorso.

"Italiano non buono"

Le racconto una mia storia vissuta negli anni Quaranta nella Jugoslavia del maresciallo Tito combattente alla macchia con i suoi partigiani slavi del “IX Korpus” contro italiani e soldati tedeschi. Scrivo in riferimento a quanto pubblicato nell’articolo dal titolo “Onore ai Caduti” che in parte si riferiva alla triste storia degli infoibati in Jugoslavia solamente perché italiani.

Bosonetto e Cravarezza, grazie

Vorrei ricordare due persone che hanno significato qualcosa di importante durante la mia naja. Una di queste persone è il colonnello Bosonetto, di cui si è parlato ne L’Alpino di gennaio. Era il 15 ottobre del 1980. Arrivai a Cuneo per iniziare la mia avventura di giovane recluta.

Dür per durà!

Ho visto su L’Alpino di marzo una foto di congedati del 5° battaglione Edolo. Mi permetta un passo indietro: negli anni Sessanta io abitavo a Brescia. Sono cresciuto in quella città: la scuola media, il liceo, i primi amori e gli amici che non ho più rivisto ma che vivono sempre nella mia memoria.

L'eccidio di Porzus

Sono un vecchio alpino del 16° corso AUC. Ho letto l’articolo sull’eccidio di Porzus, avvenuto quando ero poco più che dodicenne ma del quale ho vivo il ricordo poiché mio padre aveva ricevuto una poesia sull’avvenimento e la teneva nascosta nel timore che qualche rastrellamento tedesco potesse farla venire alla luce.

Il dramma delle foibe

La lettera di Norberto Ferretti, esule da Pola “Ricordare le Foibe”, (L’Alpino n. 3/2014) mi ha indotto a scrivere questa mia breve memoria. Sono l’ex sottotenente del Genio Pionieri Orobica che nell’ottobre 1957 (periodo di massima tensione con le truppe di Tito) fu incaricato dal Ministero della Difesa a documentare il fondo di alcune Foibe triestine. Penso di essere stato il primo, e forse l’unico, ad ispezionare, in forma ufficiale, quelle voragini spaventose.

Sentirsi italiani

Vorrei rispondere alla lettera di Ezio Cescotti del numero di febbraio. Sono nato in Trentino nel 1939 e vivo in Piemonte dal 1959. Nonostante questo mi sento sempre un vero Trentino e non condivido assolutamente ciò che dice Cescotti nei riguardi di Cadorna, Garibaldi, Mazzini, come pure sono scettico riguardo la narrazione delle razzie compiute dai soldati italiani perché non ne ho mai avuto testimonianza né dalle persone della famiglia, né dai conoscenti che vissero quel periodo storico.

Vite senza valore

Leggo il tuo editoriale di marzo e sento di doverti manifestare i pensieri che ne derivano. Non sarò articolato come il tema merita, spazi e modi non lo consentono; sarebbe bello parlarne. Accostare il concetto “vite senza valore” all’eventuale eutanasia di un minore irreversibile è semplicistico, al di là di qualunque opinione, pro contro o nulla.

Ricordo di Eugenio Corti

Permettimi queste poche righe per ricordare Eugenio Corti, scomparso a 93 anni lo scorso 4 febbraio, considerato, credo a ragione, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, ma purtroppo da troppo pochi conosciuto e letto.

Il cappello in chiesa (ribadiamo!)

È bene ribadire quale deve essere il comportamento dell’alpino quando si trova all’interno della Chiesa, in ordine all’uso del cappello, così come ha rilevato l’alpino Facciolo nella lettera al direttore del numero di febbraio.

L'intellingenza è figlia del realismo

Caro Ezio Cescotti, anch’io, nipote di Kaiserjaeger, e me ne vanto, non condivido per nulla quanto hai scritto circa l'intitolazione di una via di Pelugo ai fedeli soldati dell'Imperatore austriaco. E sono tanto orgoglioso di mio nonno che sul cappello alpino, vicino ai distintivi dei miei reparti, ho anche quello con l’aquila e stella alpina che portava sul berretto, proprio per ricordare lui e quei diecimila trentini che militarono sotto le insegne dell’Austria.

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