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venerdì, 29 Marzo 2024

Le testimonianze nella roccia

Nella Grande Guerra l’area del Passo di Monte Croce Carnico era denominata “zona Carnia” contrapposta alla “zona Carinzia” (in Austria) per la quale il comandante, generale Rohr, dispose: “Resistenza tenace sulla cresta delle montagne della Carnia come prima linea”. Il monte Freikofel si trova proprio qui: caratterizzato da una parete quasi a picco sul versante italiano e da un pendio più dolce su quello austriaco. Come gran parte delle cime durante il conflitto anche il Freikofel venne perso e riconquistato più volte nello stesso giorno.

Supera i monti, divora i piani

Succede spesso che siano proprio gli alpini a raccontarci storie insolite, impronte ravvisabili ancora oggi lasciate da personaggi poco noti. A tale proposito, qualche tempo fa, per via di quelle strane circostanze che accadono nella vita, Mario Nasatti, alpino del gruppo di Valmadrera (Lecco) ci ha parlato dei Badoni, importante famiglia lecchese. La sua storia si intreccia con le cronache della Grande Guerra, con un approfondimento che ci ha offerto Andrea Bianchi, alpino della sezione di Milano. Noi, alchimisti per gioco, abbiamo unito in un’unica miscela queste due fragranze e… voilà, questo è quanto ne è sortito.

La coscienza del Centenario

Sull’onda delle tante iniziative promosse in Italia e in Europa l’Associazione Nazionale Alpini, in vista del centenario della Grande Guerra, per recuperare il senso dei valori morali e civili della ricorrenza e recepire le attività di enti e istituzioni, ha organizzato a Marostica un convegno sul tema. Nella splendida cornice di Palazzo Baggio, il 12 aprile scorso tramite il Centro Studi, magnificamente supportato dalla Sezione guidata dal presidente Fabio Volpato, l’ANA ha presentato le attività che, da qui al 2018, intende porre in essere per ricordare quella che, segnandone drammaticamente l’animo e la coscienza, fu la prima, grande esperienza collettiva del popolo italiano.

Parole per il Centenario

Il 18° Convegno Itinerante della Stampa Alpina si è svolto nella bella Marostica, appena dopo il “Convegno sul centenario Grande Guerra”, organizzato dal Centro Studi ANA. Per dare continuità d’intenti e ulteriore sviluppo agli argomenti trattati il tema del CISA è stato: “Comunicare il centenario”. La formula del convegno ricalca quella ben riuscita delle ultime due edizioni, con lo svolgimento di relazioni sul tema proposto e la successiva discussione in gruppi distinti, in modo da sviluppare un confronto più libero.

Che fame in trincea!

Durante una delle mie solite escursioni estive, la punta del mio scarpone urtò qualcosa di metallico e di vivaci colori, affiorante dalla terra. Semicancellata la scritta ancora leggibile: “Antipasto Tripoli – Alici in salsa piccante - Forte Sultania” e un bel disegno di una nave da guerra italiana con tanto di cannoni e bandiera Tricolore sabauda al vento.

Tutto per la Patria

Sembrava essere il pranzo d’un giorno qualunque. Ma c’era tra i commensali un cuore che batteva più degli altri, un cuore in attesa di una rivelazione che avrebbe per sempre mutato la vita dell’intera famiglia Locatelli. “Mi sono iscritto tra i volontari alpini. Domani parto per Morbegno”, disse Carlo. Il padre restò attonito, in silenzio.

La grande cavalcata

L’alpinista e cartografo Julius Payer era uno dei soldati più felici dell’esercito austriaco, in quel giorno del 1865 quando Franz Kuhn von Kuhnenfeld, il vecchio generale avversario di Garibaldi allora diventato ministro della guerra, gli aveva consegnato l’incarico di disegnare la carta geografica di tutto il Gruppo Ortles-Cevedale per conto dell’Imperial Regio Istituto Geografico Militare. «È fatta!» si era detto il giovane tenente boemo appena appresa la notizia. Nei suoi anni futuri c’era ora un mondo quasi totalmente inesplorato: labirinti glaciali, cime inviolate, valli in parte mai percorse, morene, e angoli sconosciuti. Molte importanti lacune cartografiche dovevano essere fugate, e nelle zone sconosciute – dove gli antichi latini avrebbero liquidato i misteri geografici con la convenzionale scritta “hic sunt leones” – lui stesso avrebbe dovuto avventurarsi e con pazienza assegnare nuovi toponimi.

16 rubli per “La nostra fede”

La nostra fede: 1914-1920. È questo il titolo di un giornaletto senza pretese, stampato nel campo di concentramento di Kirsanoff in Russia dove, nel 1916, in attesa d’imbarcarsi per l’Inghilterra e da là rientrare poi in Italia, vennero riuniti gran parte dei trentini e dei giuliani che avevano vestito la divisa austro-ungarica ed erano stati presi prigionieri dai russi dopo le battaglie in Galizia e sui Carpazi. Il giornale venne composto con i pochi mezzi a disposizione. Si raccolsero i 16 rubli che servirono a comprare miele, glicerina e colla di pesce ingredienti necessari al clichè della stampa.

Il “Brigante” del Cavento

Primavera inoltrata, chi lo direbbe?! Il termometro resta sotto lo zero, la notte poi precipita vertiginosamente giù. E quando soffia il vento, nelle baracche si balla: l’aria gelida entra sinuosa in ogni pertugio delle giubbe, sotto alle maglie di lana. Danza in vortici come volesse giocare. Ci siamo abituati ormai e riusciamo persino ad addormentarci sfiancati dai lavori fatti durante il giorno. Il freddo intenso inghiotte ogni cosa e l’ultimo muro della nuova trincea lo abbiamo costruito con mattoni di ghiaccio.

In viaggio sull’Adamello

In un tiepido giorno di marzo di qualche anno fa, il tenente colonnello Caruso si porta l’indice avvolto nel guanto di pelle nera alla bocca. «Ssst!» mi dice sgranando gli occhi. “Sente anche lei che stanno arrivando?”. In effetti il sibilo si fa sempre più vicino. Fin quando l’elicottero con due rotori è esattamente sopra di noi. “Sono in linea. Ecco il lancio!” urla Caruso cercando di coprire il rumore dell’elicottero, ormai diventato frastuono. E di colpo, sopra di noi, si aprono in una fila ordinata i paracadute bianchi degli alpini, che prendono a dondolare tutti insieme fino a sparire, bianco su bianco, nella vastità del ghiacciaio. In quel giorno di marzo, Caruso mi spiegò che mi aveva invitato ad assistere a un’operazione storica: “Erano 53 anni” disse, “che qui non si faceva un aviolancio.

Carlo Erba, soldato

“Noi vogliamo glorificare la guerra come sola igiene del mondo. Il militarismo, il patriottismo”. L’esaltazione del conflitto armato risaltava a caratteri cubitali sopra ai manifesti realizzati dai Futuristi: movimento che accostava artisti di ogni genere, pittori, scrittori e musicisti. Essi richiamavano a un atteggiamento nuovo nei confronti del concetto di arte e con forza inneggiavano alla guerra, a prendere le armi unico mezzo per un radicale cambiamento. L’odio verso l’Austria-Ungheria montava nel gruppo degli interventisti, ora dopo ora.

Alte vie nella Grande Guerra

Inizia la collaborazione con Marco Ferrari, fondatore e direttore di Meridiani Montagne, che ci accompagnerà sui luoghi della prima guerra mondiale di cui si celebra il centenario.

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