Un nostro telegiornale per dire chi siamo

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    Eccoci qui, cari lettori. Ma per una volta lasciate che vi chiami, profeticamente, telespettatori. Il perché di questa divagazione è presto detto. Il mese scorso è andato in onda il numero Zero del nuovo telegiornale dell’Ana “L’Alpino settimanale televisivo”. Un notiziario che, da questo mese andrà in onda, con cadenza settimanale, su 24 emittenti operanti su tutto il territorio nazionale e di cui a pagina 11 vi diamo resoconto con il nome delle emittenti e l’orario di trasmissione. Si tratta di una iniziativa, fortemente voluta dal Presidente Sebastiano Favero e dal Consiglio Direttivo Nazionale, che hanno voluto dare voce e ricaduta sempre più ampia al valore etico e al ruolo sociale dell’Ana, in un momento di grande scollamento nel tessuto sociale e ad un sistematico ripiegamento nel privato con conseguente individualismo degli stili di vita. 

     

    Sono onorato di essere l’apripista di questo progetto al quale auguro un grande futuro, capace di muoversi con sempre maggiore destrezza nel panorama dei grandi mezzi di informazione. È il sogno del piccolo Davide, che ha la povertà della fionda, ma la forza degli ideali per i quali si batte dopo averci creduto fino in fondo. Vorrei dire un grazie anche a Tele Boario, per un’attenzione agli alpini che viene da lontano e che oggi si mette a disposizione tecnicamente per garantire un servizio da rilanciare sul territorio nazionale. A questo punto sorge una domanda: ma era davvero necessario un telegiornale alpino, considerato il supermercato di offerte che oggi ci offre lo scenario mediatico? La domanda è un tantino retorica, ma la risposta è convintamente sì. Per più ragioni ovviamente. La prima riguarda l’opportunità di far conoscere gli alpini e ciò che fanno oltre il loro “recinto”.

    Il giornale L’Alpino, insieme alle altre testate sezionali, svolge un servizio preziosissimo di collegamento e di informazione. Solo che insieme si rivolgono ad un target omogeneo, quello degli iscritti, dei loro famigliari, amici e simpatizzanti. Un telegiornale alpino rappresenta l’opportunità di raggiungere un target più eterogeneo e allargato, andando così a seminare un sentire sociale e una testimonianza di impegno civile, sconosciuto ancora a troppi ma indispensabile a tutti. Una seconda ragione sta nel carattere stesso della comunicazione televisiva.

    La cultura digitale emergente, che ha piantato solide radici sulle più arcaica cultura del libro, di fatto ha introdotto una nuova sensibilità del vedere e del recepire, più immediata e condizionante. Potremmo stare a discutere all’infinito se questo sia il meglio. La realtà è questa e sta di fatto che oggi la forza dell’immagine ha un potere straordinario nel veicolare messaggi, emozioni e quindi anche riflessioni. Tengo per ultima una ragione un po’ amara. Ciò che fanno gli alpini è generalmente apprezzato in maniera inversamente proporzionale tra ciò che pensa la gente e l’interesse che mostrano i media più potenti. Non servono molti giri di parole per dire che ci sentiamo snobbati dalle grandi reti nazionali. Vengono alle nostre adunate, ma solo perché mezzo milione di persone rende una notizia non sopprimibile. Ma per il resto è notte fonda.

    Non importa che gli alpini abbiano raccolto tre milioni sonanti per gli amici colpiti dal terremoto. Non importa che 15mila volontari di Protezione Civile siano presenti ovunque dove la vita presenta il conto di fatiche inaspettate. Niente di niente. Se non hai santi in paradiso, l’oblio è l’unica moneta che rimane. E non che gli alpini abbiano bisogno della ribalta, dato che è nel loro stile lavorare nel nascondimento. Ma possono alcune iniziative passare sotto silenzio, senza rilevare la portata di fiducia e di ottimismo che esse possono portare nel desolato panorama di popolazioni terremotate? Nel mese di novembre a Campotosto è stato inaugurato un centro polifunzionale, reso possibile dai soldi e dalle mani degli alpini.

    Nessuna notizia, nonostante l’ampia diffusione preventiva di comunicati. Se questo ci rammarica, particolare amarezza ci viene dal silenzio della Rai, servizio pubblico per il quale i 400mila iscritti all’Ana, tutti contribuenti con il Canone, concorrono al mantenimento del servizio. Un’associazione che non ha pari al mondo, ma che per qualcuno ha probabilmente una semplice valenza coreografica, se non folcloristica. Anche ridurre l’alpino a seguace di Bacco può diventare facile espediente per evitare di raccontare la sua rilevanza sociale e il suo essere cittadino responsabile. Ma la verità è altra e chi ha onestà intellettuale lo riconosce. Anche se poi qualcuno preferisce guardare altrove.

    Bruno Fasani