Testimoni di bontà

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    Flebili raggi di luce filtrano tra i ricami delle guglie, mentre alcuni piccioni frullano sopra il sagrato della basilica e attorno al grande abete. L’albero addobbato è una tradizione a Milano, come il panettone e le “vasche” per le vie del centro in cerca degli ultimi regali, in un’atmosfera gioiosa e insieme malinconica, tipica del Natale. Da qualche lustro la Messa degli Alpini in Duomo è entrata a pieno titolo tra i riti della tradizione.

     

    È nata nel 1959 per volere di Peppino Prisco, prima come funzione per ricordare i Caduti del battaglione L’Aquila – al quale l’avvocato apparteneva – e negli anni divenne un momento di raccoglimento in ricordo dei Caduti di tutte le guerre. Quella cerimonia che iniziò con l’essere celebrata quasi in modo privato tra i reduci e i loro familiari, con il tempo divenne un momento di condivisione con la cittadinanza sulla quale era calata la lunga ombra del conflitto.

    Fu dunque un ponte che riunì in un abbraccio i superstiti: quei giovani reduci che la guerra l’avevano vissuta in prima linea e quanti in Patria avevano dovuto subirne i tragici effetti. Ecco spiegato perché ogni anno in Duomo la partecipazione non solo degli Alpini di tutt’Italia, ma anche di tanta gente è sempre imponente. E ogni anno anche la schiera degli spettatori e curiosi si ingrossa. Tra essi c’è anche chi, vedendo l’ennesimo assembramento davanti a Palazzo Marino, chiede ad un vigile quale sia il motivo di quel nuovo sit-in di protesta, salvo ritirare svelto la mozione quando, ordinati in file da cinque, gli Alpini iniziano a sfilare per via Santa Margherita, alla volta della cattedrale. Alla testa del corteo la fanfara di Abbiate Guazzone, seguita da numerosi gonfaloni dei Comuni e delle associazioni combattentistiche e d’Arma, 52 vessilli delle sezioni ANA e 300 gagliardetti dei Gruppi che si sono disposti ai lati del sagrato, accanto al picchetto armato del 2° Alpini e alla fanfara della Taurinense, per rendere gli onori al Labaro dell’ANA, scortato dal comandante delle Truppe alpine gen. Federico Bonato, dal presidente Sebastiano Favero e dai consiglieri nazionali.

    La Messa è stata celebrata dal vicario episcopale mons. Pierantonio Tremolada, coadiuvato da mons. Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Gnocchi. Nell’omelia, incentrata sull’esegesi di un passo del profeta Isaia e del Vangelo secondo Giovanni, sono state due le figure principali: la nascita di un virgulto da un tronco insecchito e la figura di Giovanni Battista come testimone della parola di Dio. I concetti della rinascita e della testimonianza sono strati traghettati da mons. Tremolada nel mondo alpino parlando della tragedia della guerra. «Anche là dove c’è il buio, l’odio, la violenza, la crudeltà – ha detto – non è mancato il germoglio di quella vita che trova la grandezza nella bontà di Dio. E, anche per esperienza personale, uno degli elementi più consolanti nella tragedia della guerra è quello degli Alpini». Ricorda poi le belle parole del Beato don Carlo Gnocchi: «Gli Alpini non dicono nulla. Marciano, lavorano e tacciono. Quasi ostinatamente. Non chiedono nulla. Anche l’eroico è per loro normale. Lo straordinario è ordinario. Io mi vergogno davanti a loro, nel trovare eccezionale e bella questa mia vita, e penso anche spesso ai nostri ragazzi che sanno troppo poco il sacrificio, o, meglio, lo sanno troppo esaltare, davanti a sé, davanti agli altri e davanti a Dio. Potessi imparare anch’io dai miei Alpini questa virtù sublime: di rendere naturale e quasi inavvertito il sacrificio!»

    Il credo alpino oggi ruota attorno a valori come la cura dei più deboli, la gioia e l’amicizia e il senso di responsabilità verso la società, la propria terra, la Patria. «Ho provato a guardare così alla realtà degli Alpini – ha concluso mons. Tremolada – perché abbiamo bisogno di testimoni che, come Giovanni, indirizzino al messia di Dio e facciano sentire la forza di bene, la speranza e la potenza di vita che germoglia anche nel deserto, con azioni, con opere, con pensieri e parole che abbiano queste caratteristiche». Il coro ANA di Milano ha accompagnato i vari momenti della funzione e ha fatto da sottofondo alla vibrante ed emozionante Preghiera dell’Alpino, declamata dal novantasettenne generale Luigi Morena, Medaglia d’argento al V.M. Quindi gli interventi di rito sul sagrato del Duomo.

    Il presidente della sezione di Milano Luigi Boffi ha ricordato come gli Alpini in congedo «siano sempre al servizio della società, ieri in divisa oggi con le opere a favore del prossimo». E ha donato a Marco Granelli, rappresentante del Comune di Milano, una copia del “Libro verde della solidarietà”, che racconta delle migliaia di ore di lavoro che gratuitamente le penne nere offrono alle comunità locali e a quelle di tutto il Paese. Boffi ha quindi salutato il gen. Riccardo Marchiò, da poco alla guida del Nato Rapid Deployable Corps-Italy, gli Alpini in armi e i loro alti ufficiali: i generali Giorgio Battisti, ispettore delle infrastrutture dell’Esercito, e Massimo Panizzi, comandante della Taurinense. E ha ricordato come il centenario dell’ANA si avvicina e auspica che «Milano, la città che vide nascere la nostra Associazione, si prepari ad accogliere gli Alpini d’Italia».

    In corteo, le penne nere con vessilli e gagliardetti si sono quindi dirette lungo via Meravigli, fino a largo “Caduti milanesi per la Patria” dove sorge il Sacrario, all’interno del quale è stata deposta una corona d’alloro. Accanto al sacello alcuni degli ultimi reduci Alpini: Luigi Morena, Sergio Pivetta, Giovanni Corvino (tutti del btg. Piemonte) e Ugo Balzari.

    Matteo Martin