Senza futuro

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    Nei giorni scorsi ho assistito ad una interessante presentazione di una serata circa i temi alpini. Pacche sulle spalle agli organizzatori e soddisfazione di tutti per la sala gremita, anche se pochi hanno notato che la quasi totalità dei partecipanti erano alpini, mogli o parenti. Sorge spontaneo allora il pensiero se stiamo facendo abbastanza per lasciare una forte traccia dietro di noi o peggio, se abbiamo maturato tutti il fatto che siamo gli ultimi di una grande tradizione. L’autocelebrazione e le pacche sulle spalle vanno benissimo, ma per tramandare, diventa sempre più indispensabile aprirsi verso chi alpino non è, o che peggio, guarda a noi con un misto di divertita ironia, come a dei nostalgici cucinieri di salamelle. 

     

    Non abbiamo più eredi e anche l’Esercito diventerà presto europeo e nel raggio di poche generazioni, di noi resterà forse solo un ricordo ufficiale, qualche monumento e le nostre magnifiche sedi, riconvertite ormai ad altri usi. È questo che vogliamo? Oppure vogliamo impegnarci a divulgare, fuori dalla famiglia alpina, i nostri valori di solidarietà e memoria, perché sopravvivano alla scomparsa dei Gruppi e di noi stessi. Resterà il cappello con la penna, sempre più relegato in luoghi lontani, nelle case dei nostri figli e nipoti, o sopravvivrà almeno l’impegno di altri per salvare quegli ideali che esso rappresenta? Certo che personalmente potrò dirmi soddisfatto, solo quando quelle sale saranno gremite da non alpini ma da persone che condividono con noi, la passione per il ricordo e l’impegno a lavorare per i vivi ma mi accontenterei anche di curiosi. Occorre passare senz’altro attraverso le scuole, ma soprattutto aprirsi alla società civile, coinvolgendo anche coloro che degli alpini mai hanno sentito parlare e della montagna, conoscono solo le piste da sci. Non bastano certo le sezionali o la Protezione Civile, senz’altro importanti, occorre tramandare e fare capire l’importanza dei nostri valori alla società del domani. Per poter fare questo, occorrono la ferrea convinzione e l’impegno, in primis, delle Sezioni e di commissioni culturali (dove ci sono…) che funzionino a pieno ritmo, dotate di idee nuove e innovative, per veicolare all’esterno la nostra forza residua e la nostra convinzione.

    Sergio Boem Gruppo di Padenghe, Sezione Brescia

    Caro Sergio, mentre leggevo il tuo scritto mi chiedevo: gli rispondo con realismo, pessimismo od ottimismo? Il realismo mi porterebbe a dire che anche l’esperienza alpina, come tutte le cose degli uomini, prima o poi arriverà al capolinea. Il pessimismo mi porterebbe a pensare che anche gli alpini, come tutte le categorie sociali, sono catturati dalla cultura a spirale che porta dentro a non sentire individualismo dove lo star bene da soli prevale sull’idea di un bene comune. L’ottimismo nasce invece da una osservazione della storia. Quando il degrado porta alla implosione di una società, è allora che iniziano i segni della primavera. L’importante che gli alpini tengano vivi i germogli, come tu suggerisci, senza l’illusione della perennità e senza la rassegnazione degli sconfitti in partenza.