Reggimento audace e tenace

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    L’arrivo della Bandiera di guerra all’Adunata, viene subito dopo la Messa e non a caso. Sono momenti silenziosi che offrono il tempo per riflettere e guardarsi dentro. E poi mostrarsi alla città, in trepidante attesa. Il vociare che le vie strette dell’Aquila enfatizzano e fanno più forte, è zittito dalla cadenza dei tamburi che un passo dopo l’altro si avvicinano. Avanza la Bandiera di Guerra pluridecorata del 9° reggimento. Il chiassoso rumore si fa silenzio, da Collemaggio fino a piazza del Duomo dove il Labaro, i vessilli e i gagliardetti, oltre ai gonfaloni, si posizionano per gli onori del comandante Federico Bonato accompagnato dal Presidente Favero.

    Tutto è lasciato al messaggio di quello stendardo, ai ricordi intimi di chi è ad esso legato, per un motivo o per l’altro. Un Reggimento decorato nella Grande Guerra, sul Golico, sul fronte russo e anche su quello afgano. Figure di soldati conosciuti accanto a nomi meno noti di giovani chiamati alle armi. L’alpino semplice Gino Campomizzi agricoltore, reduce sul fronte greco albanese, poi inviato in Russia come portaordini. Buono con tutti, instancabile e tenace nell’assolvere il suo compito. Morirà a Ivanowka il giorno di Natale del 1942. E ancora Giuseppe Mazzocca cresciuto accudendo gli animali da cortile e le mucche.

    Che nell’inferno russo, scampato al fuoco nemico, s’attarda per salvare il suo compagno ferito. Amputato da una raffica di mitraglia, Peppino tenterà comunque di portare al riparo il suo compagno e la cassetta di munizioni a lui affidata. Morirà a Ivanowka spazzato via da una granata anticarro. E Peppino Prisco? Chissà cosa avrebbe detto vedendo sfilare la sua Bandiera, nella città che ha dato il nome al suo Battaglione. Avrebbe nascosto l’emozione dietro ad un sorriso, avrebbe pensato ai suoi abruzzesi e guardando a quelli di oggi, avrebbe rivisto quelli di un tempo, coloro che gli salvarono la vita in Russia durante la Ritirata quando la rassegnazione stava per vincerlo.

    Un ricordo vivo che lui stesso ha raccontato: «Baldo Vitalesta si allontanò qualche minuto e riapparve con un mulo rubato chi sa a quale reparto: fui issato sul mulo da Peppino Carrozzi, fui sorretto a destra e a sinistra perché non cadessi; così dopo qualche ora, poco a poco, mi sentii meglio, scesi dal mulo e ripresi il cammino sotto lo sguardo affettuoso di Vitalesta, di Fossati e dei miei alpini».

    Mariolina Cattaneo