Esempio perpetuo

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    Le toccanti parole del Signore delle cime, intonate dagli alpini alla Colonna Mozza, si spandono per le trincee, i camminamenti e lo splendido vallone dell’Agnellizza, luoghi che un secolo fa odoravano di morte e in cui dominava il cupo suono del “ta pum”. Alpini, bersaglieri, fanti, in migliaia, ragazzi di nemmeno vent’anni affrontavano i loro coetanei, un po’ più biondi, gli occhi un po’ più azzurri, ma con le stesse speranze e aspettative. Uguali nell’onore e nella dignità con i quali hanno affrontato l’estremo sacrificio.

    “Oggi più che dividere questi luoghi uniscono i popoli in fraterna amicizia”, ha ricordato il cappellano della sezione di Verona don Rino Massella durante la Messa a quota 2.105, concelebrata con il cappellano sloveno don Milan Pregelj. Accanto alla Colonna Mozza le Medaglie d’Oro del Labaro dell’ANA brillavano ai timidi raggi del sole. C’erano il presidente nazionale Sebastiano Favero, il vicario Renato Zorio, il vice comandante delle Truppe alpine gen. D. Federico Bonato e i consiglieri nazionali al completo. Poco distanti un plotone di alpieri del 7°, i Kaiserjäger e una rappresentanza dei soldati da montagna sloveni. Tutt’attorno gli alpini con i vessilli, i gagliardetti tricolori e i rappresentanti delle istituzioni: l’assessore della Regione Veneto Elena Donazzan e i sindaci dei Comuni dell’altipiano di Asiago.

    Le autorità hanno deposto una corona alla Colonna, mentre echeggiavano le note del Silenzio. Quindi il presidente della sezione di Marostica Fabio Volpato ha recitato la Preghiera dell’Alpino e le penne nere si sono recate a quota 2.101, per rendere omaggio ai Kaiserjäger caduti deponendo una corona al cippo che li ricorda. Il sentiero domina un tratto delle trincee austro-ungariche, scavate nella roccia per celarsi al nemico e per dominare la valle sottostante. Fu qui che nel giugno 1917 i battaglioni alpini e gli altri soldati della 52ª Divisione si immolarono: avanzarono faticosamente sui pendii verso le postazioni controllate dalle mitragliatrici nemiche, conquistarono le quote palmo a palmo, fino alla cima dell’Ortigara. La ripersero e furono ricacciati a valle, poi ancora di nuovo all’assalto, fin quasi all’ultimo uomo, finché nulla più poterono.

    “Ore 24 del 18 giugno 1917. Cari genitori, (…) sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda. Fra cinque ore qui sarà un inferno. (…) Mi sento ora commosso, pensando a Voi, a quanto lascio; ma so di mostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. (…) Quando riceverete questo scritto, fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto in guerra non è mai morto. Il mio nome resti scolpito nell’animo dei miei fratelli. (…) Un bacio ardente d’affetto dal vostro Adolfo”. Questa lettera non venne mai recapitata. Fu trovata, ancora insanguinata, quarantun anni dopo, nella dolina grande, proprio tra quelle rocce che gli alpini di oggi hanno percorso a ritroso, seguendo i camminamenti di avvicinamento alle postazioni austriache, per raggiungere Cima Lozze dove era da poco terminata la Messa, celebrata da mons. Bruno Fasani in concomitanza con quella in vetta.

    Nella chiesetta del Lozze il presidente Favero e il gen. Bonato hanno scoperto una targa in memoria di Bepi Nisio, al secolo Giuseppe Sinico, l’amico degli alpini del gruppo di Montecchio Maggiore che lo scorso anno perse la vita in un incidente durante il pellegrinaggio. Gli alpini lo hanno ricordato anche con uno striscione che recitava: “Nisio sfila con noi”, issato sul pendio che domina la conca.

    “L’Ortigara a cent’anni dall’inizio della Grande Guerra vuole lanciare un messaggio di fratellanza, di condivisione e di pace”, ha ricordato il presidente Favero, esortando le nazioni ad “essere capaci di costruire e trovare sempre di più i motivi che uniscono e non quelli che dividono. Queste montagne e gli uomini dell’una e dell’altra parte che qui si sono sacrificati ci devono ricordare quanto essi hanno fatto per noi. E noi abbiamo l’obbligo morale di trasmettere questo messaggio alle nuove generazioni. Vogliamo che i giovani capiscano i valori fondanti che legano una realtà e che fanno diventare un ragazzo e una ragazza un uomo e una donna. Valori sintetizzabili con il saper dare con generosità senza chiedere. Saper dire che i doveri devono venire prima dei diritti – ha proseguito Favero – ci può aiutare ad essere coesi e poter guardare il nostro futuro con più speranza. Dobbiamo avere il coraggio di far rispettare gli obblighi che ognuno deve avere nei confronti degli altri, della società, della nazione. A cent’anni di distanza il messaggio che l’Ortigara ci suggerisce è soprattutto questo”. E gli alpini in pellegrinaggio all’Ortigara pregano “per non dimenticare”, perché il tempo potrà rendere offuscata la memoria dei volti e dei nomi dei soldati che caddero su quelle balze, ma il ricordo del loro esempio rimarrà immortale.

    Matteo Martin