Cantare in coro è arte collettiva

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    Sono ormai molti anni che alcuni cori, quelli almeno più sensibili, più attenti, che si sono definiti nella pratica corale alpina , in senso stretto connesso alle memorie del Corpo degli Alpini, cori di montagna , cori di ispirazioni popolare , sentono, in una realtà profondamente mutata negli ultimi anni, ma tuttora in rapido corso di mutazione, il problema della loro identità, della loro collocazione culturale e sociale.

    In questo contesto, per alcuni maestri, l’esigenza di cercare nuove vie per inseguire proprie identità, si è fatta prioritaria rispetto al sistema dominante. I convegni e i dibattiti sulla coralità, sul ruolo, sull’esigenza di intraprendere altre vie, arriveranno assai più tardi. Naturalmente la critica cosiddetta egemone (sempre un poco snob) bolla come spuria l’attività corale di questi complessi, non riconoscendo ad essi alcun valore, non solo musicale, ma neppur specifico nel recuperare i legami con la propria tradizione culturale. Purtroppo anche la coralità non è immune, oggi come ieri, da proprie responsabilità.

    Vorrei accantonare per il momento il tema Alpini di città addentrandomi nel variegato mondo corale popolare. La grande proliferazione corale non avvenne, come si sostiene, negli anni ’50, l’attività era ristretta a pochissimi complessi tutti legati all’ideale trentino della Sat. Tra il 1950 e il 1960 nacquero cori di rilevante importanza che, salvo alcune eccezioni, ancor oggi tengono banco. Furono: il Coro Incas, il Coro Ana di Vittorio Veneto, il Coro Ana di Milano, il Coro Penna Nera di Gallarate, il Coro Stelutis, i Crodaioli, la Grangia, il Coro Monte Cauriol, il Coro Dolomiti di Trento, il Coro Tre Pini di Padova ed altri complessi dei quali mi sfugge il nome. Dopo il 1960, tutti gli altri. Corremmo alla montagna e nacquero i cosiddetti cori di montagna .

    Ci siamo mai chiesti in questa moltitudine di voci che cantano, magari da mezzo secolo oppure solo da ieri, cosa cantano e il perché sono favorite certe soluzioni musicali piuttosto che altre?Le mie conclusioni personali le ho tratte andando a rivedere i programmi dei concerti dei cori, la discografia e gli spartiti musicali, documenti che da anni metodicamente raccolgo. ( ) Passando ai cori ANA rilevo che, secondo le nostre ricerche, sono circa 150 quelli iscritti alle sezioni e ai gruppi. Il repertorio di questi complessi corali è tale e quale a quello dei gruppi corali non alpini.

    Osservo però che nei programmi dei cori Ana sono inseriti, generalmente, un minor numero di canti della tradizione alpina privilegiando altre canzoni. Questo comporta che, essendo cori dell’Ana, ci possono essere, a volte, interferenze, intromissioni, oppure inviti più o meno latenti affinché il repertorio sia maggiormente dedicato ai canti alpini. Questo, secondo il mio parere è marginale in quanto ogni complesso corale deve poter esprimere il proprio percorso musicale secondo una propria convinzione e secondo le proprie capacità.

    Alcuni cori alpini poi si differenziano da altri perché cantano con il cappello in testa (così scomodo nel cantare), e vi è anche qualche coro che essendosi costituito sotto la leva nell’ambito delle Brigate Alpine (ti ricordi, caro De Marzi, i famosi concorsi dei cori alpini alle armi?) non smette di esibirsi con la divisa militare: saluto, attenti, riposo e questo scatena subito nel pubblico tanta simpatia. Sono d’accordo con L’Alpino nel ritenere che i cori dei congedati rappresentino una realtà giovane, eterogenea alla quale realtà dobbiamo guardare con attenzione.

    Non sono d’accordo quando si dice che questi cori sono i depositari di una cultura militare artistica quasi scomparsa . Questi cori, a dire il vero, nei loro programmi danno molta più evidenza ad un repertorio che comprende ben pochi canti alpini privilegiando canzoni che d’alpino hanno poco o nulla. Molti complessi, soprattutto quello delle valli o dei piccoli paesi, sono composti da coristi con una fascia d’età compresa tra i 50 e i 70 anni che soffrono per mancanza di voci giovani, questi cori non avendo un valido organico vengono quindi mortificati nella loro attività musicale.

    In questo contesto sarebbe importante avere la possibilità di un turn over che ci potrebbe anche essere se i cori sapessero adeguarsi e dare un futuro alla coralità alpina. Il problema sta nel fatto che ogni campanile non ha un solo coro ma nello stesso paese oppure a poca distanza tra loro rivaleggiano altri piccoli cori che soffrono come tutti gli altri di voci giovani, ma allora non sarebbe meglio unire le forze in un unico coro? ( ) Per convinzione personale dovuta all’attività che svolgo nel quotidiano sono persuaso che l’arte sia conquista dura, aspra, sofferta, lotta e studio quotidiano, ricerca continua, sperimentazione, estro come febbre.

    Cantare, perciò, è fare arte, cantare in coro è arte collettiva, non può essere solo un momento di svago dopolavoristico. Prima di concludere vorrei non sorgessero equivoci sulla mia relazione che non è e non vuol essere una tabella di merito, né tanto meno una classifica. Non sono entrato nello specifico tecnico musicale poiché non mi sento all’altezza di questo compito ma, soprattutto, ho il massimo rispetto per tutti coloro che cantano.

    Ho espresso il mio pensiero personale circa la situazione attuale della coralità in genere. Così mi è parso giusto porre in rilievo l’impegno che alcuni cori, giungendo a ottimi risultati, impegnando le loro passioni verso i filoni della musica tradizionale oppure al di fuori di essa abbiano raggiunto livelli musicali molto alti, soprattutto al di fuori degli stereotipi abituali.

    Credo che esista il problema dei cori e credo anche se ne debba parlare di più spezzando le diffidenze, le paure, le barriere legate alle proprie posizioni e agli egoismi, tutti elementi che rendono il colloquio difficile se non impossibile.

    Massimo Marchesotti