Web 2.0

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    Da frequentatore della tecnologia e dell’informatica sin dai primi anni ottanta (iniziai a undici anni con un home computer), aggiungo due precisazioni al tuo ultimo editoriale che non ne cambiano la sostanza, ma che ti invito a considerare perché aprono ulteriori riflessioni che ritengo tocchino un nervo scoperto del pensiero contemporaneo.

    I nativi digitali non sono “maggiormente predisposti a comprendere le tecniche di funzionamento del digitale” rispetto ai più vecchi, tra di loro è bassa la frazione che ne capisce veramente qualcosa. Sono per lo più passivi utilizzatori di strumenti che altri hanno predisposto e su cui altri hanno il controllo, e lo fanno inconsapevolmente. La sigla stessa Web 2.0 è per così dire nomen omen. Tecnicamente Web 2.0 non esiste. Il Web è nato come strumento di condivisione delle informazioni tra le persone, e quindi di socializzazione. Questo era fin dall’inizio, questo è rimasto, niente di nuovo, ciò è stato chiarito anche dallo stesso Tim Berners-Lee. Quel 2.0 senza senso è stato usato da chi ha iniziato a vendere prodotti sul Web, e rappresenta implicitamente l’anima del marketing caratterizzato dal frequente sconfinamento nella disonestà intellettuale: “Aggiungiamo un 2.0 mutuato dal gergo tecnico per stupirli con effetti speciali. Crederanno che abbiamo inventato qualcosa di nuovo e migliore”. Tutto fumo.

    Marco Bisetto

    Caro Bisetto, è vero che le nuove generazioni non sempre possiedono la competenza, ma è vero, come sostengono i neurologi con prove scientifiche, che la loro struttura cerebrale è particolarmente attrezzata per recepire i linguaggi dei nuovi media. Così come è vero che il web è nato per mettere insieme e comunicare, ma è solo in tempi più recenti che questo sta avvenendo in maniera massiccia, come testimoniano facebook, twitter e quant’altro…