Un monumento a Gigli e Ranzani

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    Dove il Po scorre più lento ed ogni tanto minaccia i paesi che attorniano le sue rive, domenica 30 settembre, con le nuvole che coprivano il sole, più di mille persone, in maggioranza alpini, si sono trovati a ridosso dell’argine del grande fiume, nel piccolo paese di Santa Maria Maddalena di Occhiobello, una frazione del comune di Occhiobello (Rovigo), per commemorare il capitano Massimo Ranzani, insignito di Croce d’Onore alla memoria e il s.ten. Mauro Gigli, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

     

    Questa terra così piatta non dimentica il sacrificio in tempo di pace di due suoi figli alpini. Nella piccola piazza davanti alla chiesa erano molte le penne nere e bianche, commilitoni dei due Caduti in Afghanistan. Al loro arrivo, i genitori di Massimo e Mauro con gli altri famigliari sono stati accolti dal gen. D. Enrico Pino, comandante del Comando militare Esercito Veneto, dal gen. D. Marcello Bellacicco, vice comandante del Corpo d’Armata di Reazione Rapida a Innsworth, in Inghilterra, dal gen. Ignazio Gamba, comandante della Julia e dal col. Michele Biasutti, nuovo comandante del 5° Alpini, unitamente al consigliere nazionale ANA Luigi Cailotto ed al presidente della sezione di Padova Lino Rizzi.

    La mamma di Ranzani e la moglie di Gigli avevano appuntate sul petto le decorazioni dei loro cari e hanno mostrato, per tutta la cerimonia, un’incredibile forza d’animo. La Messa è stata celebrata da mons. Guido Lucchiari ed alla fine il gen. Bellacicco ha voluto leggere la lettera che un alpino aveva inviato al suo comandante Massimo Ranzani, accomunando nelle parole di elogio e di stima tutti “gli uomini in uniforme che si impegnano sulla base di un dovere e di un giuramento”.

    In un momento molto toccante il papà del cap. Marco Callegaro, del 121° reggimento artiglieria contraerea, anche lui ucciso in Afghanistan, ha voluto esprimere la sua vicinanza ai familiari di Ranzani e Gigli. Subito dopo la Messa, in silenzio, senza nessun accompagnamento di marce o tamburi, con in testa i tre vessilli di Padova, Udine e Sondrio e i 44 gagliardetti alpini, assieme ad altre Associazioni d’Arma, c’è stata la sfilata che ha raggiunto via degli Alpini dove era prevista l’inaugurazione di un cippo in memoria dei due Caduti. C’erano un picchetto armato del 5° Alpini di Vipiteno e la fanfara della Julia con tutti i vessilli schierati. Sono stati resi gli onori al sottosegretario alla Difesa on. Gianluigi Magri, accompagnato dal prefetto di Rovigo Francesco Provolo e dal questore Rosario Eugenio Russa e dopo l’alzabandiera è stato inaugurato e benedetto il monumento che porta il nome dei due alpini.

    Il sindaco Daniele Chiarioni, il sottosegretario Magri (“gli alpini forza vitale del paese”) e il gen. Pino hanno manifestato alle famiglie la vicinanza delle Forze Armate e dell’ANA, mentre il presidente Rizzi ha stretto in un grande, ideale abbraccio tutti coloro che operano nelle missioni all’estero. Il sottosegretario Magri ha evidenziato l’importanza delle nostre missioni all’estero, per dire che il sacrificio dei Caduti non è stato inutile. “In Afghanistan, dieci anni fa – ha detto – frequentavano le scuole meno di 900mila ragazzi e il numero delle ragazze era praticamente nullo.

    Oggi ci sono otto milioni di studenti, un quinto degli universitari è composto da donne, la mortalità per parto si è ridotta del 66 per cento e quella infantile del 40 per cento”. L’alpino Francesco Passarini, promotore dell’iniziativa assieme all’Amministrazione Comunale locale, ha ringraziato i presenti. La fanfara ha chiuso la manifestazione con un breve concerto, molto applaudito. Gli alpini, nell’arrotolare le loro insegne, si sono infine avvicinati ai familiari di Ranzani e Gigli e, con una stretta di mano, hanno fatto sentire la loro vicinanza a chi ha perso gli affetti più cari.


    Afghanistan solo andata

    “Sessanta, settanta righe apparse sul quotidiano del giorno successivo a un attentato, non bastano a raccontare un uomo, un soldato, il suo sacrificio. Ecco la ragione che mi ha spinto a scrivere questo libro”. Gian Micalessin, giornalista e inviato di guerra, racconta nel suo ultimo lavoro ‘Afghanistan solo andata’ (Cairo Editore, Milano – euro 15), la storia di 8 vite, 8 uomini morti per quel senso di patria che sa di valore antico, quasi dimenticato. In una realtà che al primo sguardo appare cinica, capace di raccontare solo le miserie umane, ci sono giovani che con consapevolezza scelgono di vivere un’esperienza estrema come la guerra. Micalessin, profondo conoscitore dell’Afghanistan da oltre trent’anni, mostra la dignità e la fierezza di questi soldati, legati da un fil rouge che inevitabilmente unisce loro ai familiari e i familiari a un destino comune. Dinnanzi alla morte di un figlio, di un marito, di un padre, non vi è isteria né recriminazione, ma solo dolore, composto, profondo.

    E sulle macerie spirituali di queste morti, sembra assurdo, l’Italia rinasce: nessun soldato è come quello italiano, capace di bussare con garbo alle porte di una sconosciuta civiltà, capace di rispettare tradizioni così lontane dalle sue, eppure non per questo oltraggiate. E allora nelle donne e nei bimbi afgani oggi, così come nelle donne e nei bimbi russi settant’anni fa, i nostri alpini in armi riconoscono le loro madri, i loro figli. “L’essenza del popolo afghano è viva, le loro tradizioni si ripetono immutate, possiamo ritenerle sbagliate, arcaiche, ma da migliaia di anni sono rimaste immutate. Gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre.

    Allora riesci a capire che questo strano popolo dalle usanze a volte anche stravaganti ha qualche cosa da insegnare anche a noi”. È il testamento morale del primo caporal maggiore Matteo Miotto, 7° reggimento alpini, colpito a morte durante uno scontro a fuoco nell’avamposto di Camp Snow, a Buji, nel Gulistan. Naturale domandarsi come questi giovani, penso anche a Luca Barisonzi che per sempre porterà sul corpo i segni di un vile attentato, abbiano acquisito una tale singolare saggezza che nell’immaginario collettivo solo il tempo ben vissuto è in grado di concedere. Sognatori inguaribili e coraggiosi. Sì perché in quel paese straziato da decenni di conflitti forse un giorno torneranno a volare gli aquiloni, leggeri, colorati. Dovremmo continuare a crederlo: è l’eredità dei 52 ragazzi caduti laggiù che Micalessin racconta nel suo libro: una sorta di riconciliazione tra la realtà della carta stampata, dei tg, dei media insomma e quella nascosta da un velo di pudore proprio dei cuori lievi.

    Mariolina Cattaneo