Un luogo mistico

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    Quest’anno la sezione di Vittorio Veneto ha fatto le cose in grande. La commemorazione annuale nel Bosco delle Penne Mozze, a Cison di Valmarino, ha avuto un prologo straordinario, il pomeriggio di sabato 6 settembre. Di nuovo c’era l’inaugurazione della sede sezionale. Un sogno coltivato da tempo e portato a termine dalla tenacia e determinazione di Angelo Biz, il suo appassionato presidente. Ma nessuno immagini una baita, nello stile di quelle cui siamo abituati. Gli alpini di Vittorio Veneto hanno trovato casa nel cuore della città, in quella casa, un tempo fatiscente, ed ora tirata a lustro come una residenza nobile, che è la stazione ferroviaria.

    Un accordo nato con Ferrovie dello Stato, per un comodato d’uso gratuito in uno spazio dall’alto valore simbolico. Ed infatti proprio l’inaugurazione è iniziata con l’arrivo di due treni, dai quali sono scesi alpini con il vessillo della Sezione e altri provenienti da Belluno. Il valore simbolico dell’accoglienza, giocato nel luogo degli arrivi e delle partenze dalla città, come sicuro approdo per sostare nella casa degli alpini. Cerimonia che ha visto un afflusso di gente come raramente s’era vista intorno ad analoghe manifestazioni alpine, sotto la regia impeccabile di Roldano De Biasi, in tour de force dialettico ed organizzativo. Davanti al prefetto di Treviso, il sindaco della città e il vescovo Corrado Pezziolo, e a tante altre autorità, Angelo Biz, con passione e tanta fierezza, ha esposto l’iter attraverso il quale si è arrivati a concretizzare quest’opera, che resterà come biglietto da visita della sua presidenza.

    Forte la sua sottolineatura sulla “guerra” degli alpini, fatta, non con le armi, ma esclusivamente di opere sociali e tanta gratuità. Concetti ripresi dal presidente nazionale Sebastiano Favero, il quale ha precisato quali sono le “armi” degli alpini, quelle citate nella loro Preghiera e che talvolta qualche orecchio pacifista avverte come stonate. Sono le armi della dedizione alla Patria e al bene comune, senza risparmio di energie. Armi che dovrebbero trovare concretezza in una cultura del bene comune da portare avanti anche in esperienze di volontariato e servizio civile. L’esibizione di alcuni cori, ripresi poi in una splendida e indimenticabile serata nel teatro di Cison di Valmarino, segnava l’epilogo di un avvenimento destinato a restare negli annali della Sezione.

    Non meno toccante, il giorno successivo, la cerimonia al Bosco delle Penne Mozze, un “luogo mistico, dove le anime dei Caduti hanno trovato pace e consolazione”, come ha sottolineato il direttore de L’Alpino, Bruno Fasani, quest’anno invitato a tenere il discorso commemorativo dell’avvenimento. Una cerimonia che ha visto, come ormai da consuetudine, un afflusso di alpini e simpatizzanti, al limite della capienza del luogo. Una fioritura di vessilli e gagliardetti di ogni parte d’Italia, tra i quali spiccavano quest’anno quelli della Sardegna e delle sezioni di Brescia, Vallecamonica e Salò, venute ad appendere la loro foglia sull’albero della memoria. È stato il presidente del Bosco, Claudio Trampetti, ad aprire i discorsi commemorativi, seguito dal presidente della sezione di Brescia, il quale ha tenuto un significativo excursus su situazioni e figure storiche, capaci di lasciare messaggi di valore anche per il presente.

    Il direttore de L’Alpino, Bruno Fasani, ha sottolineato l’importanza del luogo come opportunità per riflettere, a fronte di una società segnata dalla fretta e da un pragmatismo senza memoria e senza pensiero. Un motivo per richiamare gli amministratori presenti a diventare promotori di cultura, evitando così che l’ignoranza e il pregiudizio riportino gli uomini ai momenti bui del passato. Un compito che riguarda anche le famiglie, coinvolte nell’educazione delle nuove generazioni, spesso indifferenti, perché all’oscuro, della storia da cui provengono. Con la celebrazione della Messa, celebrata da mons. Fasani, e accompagnata dal coro ANA di Vittorio Veneto, si concludeva un momento capace di creare emozioni come pochi altri.

    Va segnalato il fuori programma della bellissima voce di Benedetta Caretta, giovane promessa del canto italiano, con l’esecuzione del Signore delle Cime e un’Ave Maria, in versione pelle d’oca. Occhi lucidi sul volto di compassati alpini e tanti grazie, dentro fragorosi battimani.

    Andrea Benedicenti