Un animo semplice

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    Anche se ci si avvia verso la primavera, lo sguardo e il pensiero alle montagne innevate ci richiamano alla mente il nevosissimo inverno di cento anni fa, quando nel 1916 le valanghe colpivano sulle Dolomiti più degli eserciti in lotta. Nella Valle del Biois contornata dalla Costabella e dalla Marmolada quei lontani eventi evocano ancor oggi il nome di don Costanzo Bonelli, che fra queste montagne vide la luce e conobbe la vita del montanaro, per tornarvi poi da sacerdote e cappellano dei suoi alpini, coi quali divise fino in fondo la sorte in guerra. Costanzo era nato nel lontano 1880 a Vallada Agordina (allora appartenente alla Pieve di Canale d’Agordo), in Andrich, uno dei sette villaggi di questo paese delle Alpi, vicino alla fontana e alla chiesetta dove ci si radunava per la preghiera comune.

     

    Un piccolo grande mondo, segnato dal lavoro della montagna, dalla laboriosità, dal senso della comunità, dall’ingegno che si esprimevano, oltre che nei molti aspetti della vita quotidiana, anche nella lettura e, per chi poteva, negli studi. Possiamo ben immaginare il nostro giovane impegnato a falciare, a pascolare nell’alpe, a preparare la legna, come tutti e ad aiutare fin dai primi anni della gioventù suo padre Abramo nel lavoro di muratore, come tramandò il pievano don Filippo Carli.

    All’età di diciotto anni avviene la prima svolta nella sua vita, con il desiderio di entrare in seminario, realizzatosi con gli auspici del parroco don Antonio Della Lucia, sacerdote intelligente e lungimirante (fu il fondatore a Canale d’Agordo della prima latteria cooperativa d’Italia), che lo presentava al vescovo come “ottimo nel riguardo morale e religioso”. Con forte impegno, e con il sostegno di Abramo, Costanzo giunse ad essere ordinato sacerdote il 14 luglio 1912.

    Inviato dal 1912 al 1915 nella parrocchia di Sedico, dove adempiva alla cura d’anime in qualità di Cooperatore, don Costanzo con la Grande Guerra divenne cappellano militare, ascritto alla 5ª compagnia di sanità “siccome ministro del culto cattolico” il 30 aprile 1915.

    Il reparto a cui fu destinato era il battaglione Val Cordevole, di cui fu il primo cappellano militare, rivestendo il grado di tenente, schietto e alla buona, molto amato dai suoi alpini: per lui era veramente il Battaglione di casa, dove poteva ritrovarsi con i compaesani, gli amici d’infanzia, i parenti e, nello stesso tempo, entrare in contatto e in conoscenza con gli altri ufficiali del Battaglione, fra cui v’erano il leggendario Arturo Andreoletti, in seguito padre fondatore dell’Associazione Nazionale Alpini, e Ivanoe Bonomi, sottotenente volontario di guerra, in seguito chiamato ad importanti cariche del governo.

    Con l’onorevole Bonomi, annota l’irredentista Gustavo Ochner, don Costanzo tenne un discorso inneggiante ai Trentini; partecipava alle discussioni politiche del capitano Magnaghi, di Nuvoloni, Tito Brida, Bonomi, Andreoletti: un nuovo, stimolante mondo per questo sacerdote di montagna. Si può immaginare la legittima soddisfazione del padre Abramo, vecio alpino nelle prime compagnie con la penna nera, nel sapere l’unico figlio introdotto, a pieno merito, fra gli ufficiali del Corpo, ma più di tutto di Costanzo viene ricordata la profonda umanità e la vicinanza ai suoi alpini, fra cui si scelse come attendente Gaetano Tomaselli di Vallada, della sua stessa età, richiamato in guerra da padre di cinque figli.

    Don Costanzo ben lo sapeva, e se lo fece assegnare con l’intento di limitare per Gaetano i rischi a cui la guerra esponeva; i due amici si trovavano vicini anche quella mattina del 9 marzo 1916 quando una grande valanga travolse i ricoveri degli uomini a Fuchiade sul Passo San Pellegrino. Gaetano stesso tramandava ai nipoti, a loro volta Alpini, il ricordo di quel tragico momento, quando fra il polverio e la confusione della valanga intravide il cappellano travolto dalla neve assieme a parte della baracca in cui si trovavano; egli invece era stato salvato. Da allora la memoria delle numerose vittime di Fuchiade è legata a questo sacerdote di 36 anni, alpino fra gli alpini, sepolto il 15 marzo, con una bandiera tricolore ad adornare la bara, i cori accompagnati dalla tromba e alcune parole a rievocare i martiri di Belfiore.

    La sua memoria non sarebbe andata dispersa, ma continuamente rinnovata, e nel 2005 la Croce un tempo posta sulla tomba di don Costanzo venne collocata nell’ex cimitero di guerra a Zigolé (passo San Pellegrino), a memoria di quella lontana guerra. Lo ricordiamo qui con le parole di don Filippo Carli, nato fra le stesse montagne del confratello Caduto, di lui più giovane di un anno: «Don Costanzo Bonelli fu ottimo sacerdote, di animo semplice, buono e mite.

    Era molto benvoluto dagli Ufficiali ed amato dai subalterni » e con quanto si legge di lui nell’opera di Andreoletti e Viazzi, Con gli Alpini sulla Marmolada (1977): «Tipica e simpatica figura del prete di montagna, vivamente compianto dagli alpini, ai quali sapeva parlare il linguaggio di un cuore semplice, buono, ricco di umanità».

    Cesare Andrich

    besendel@libero.it