“Tutti al Piave”, conferenza a Milano

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Quasi mai i numeri sono silenti. Al contrario sono capaci di raccontare storie, trasmettere suggestioni, evocare tragedie ed eroismi. È questo il caso di una cifra che verrà ricordata durante la serata culturale organizzata dal Comitato per il Centenario degli alpini del Gruppo Milano Centro “Giorgio Bedeschi” per il prossimo 15 febbraio (ore 21, Sala “Dante Belotti, ingresso da via Rovani), nel quadro degli articolati eventi, ormai in corso dal 2015, per rammentare la storia di un secolo fa. A illuminare la serata con la sua relazione, sarà Sergio Tazzer, giornalista, saggista, storico, acuto studioso del primo conflitto mondiale, presidente, tra l’altro, del CEDOS Grande Guerra, centro di documentazione storica sulla prima guerra mondiale.

Il numero che verrà citato sarà 265.000. Rappresenta l’ultima leva di giovani chiamati alle armi e frettolosamente avviati al fronte per combattere sul Piave: i tristemente ribattezzati “ragazzi del ‘99”, poco più che fanciulli, venuti al mondo nell’ultimo anno dell’Ottocento, quel secolo che aveva visto il declino della stella di Napoleone e l’ascesa di quella degli Asburgo, la nascita dell’Italia e della Germania, il colonialismo, la rivoluzione industriale, la luce elettrica, l’automobile e lo sfruttamento del proletariato, il nazionalismo e la belle époque, il telegrafo senza fili, il cinema.

Quei ragazzi fecero in tempo ad ascoltare “Tripoli bel suol d’amore”, a dare un’occhiata ai giornali che si infiammavano sulla guerra scoppiata il 28 luglio 1914, nella quale l’Italia si buttò il 24 maggio dell’anno dopo, sicura che sarebbe stata di breve durata, e nella quale guerra si trovarono catapultati nello spazio di un mattino. Decine di migliaia di loro non tornarono più dal fronte del Nord-Est: ancora oggi non esiste un numero certo, ma fu un numero di spessore in quel conflitto che per l’Italia significò seicentomila morti e quasi un milione di feriti, di cui la metà mutilati.

Quei ragazzi, a loro modo e in un certo senso inconsapevolmente, furono degli eroi e hanno contribuito significativamente alla Vittoria che mise la parola fine alla Grande Guerra. Dopo Caporetto gli austroungarici avevano il morale alle stelle. “Oggi dall’Adige all’Adriatico le nostre armate passano all’attacco contro gli italiani”, comunicavano, trionfanti, i bollettini del comando nemico. E i soldati tedeschi sfidavano gli italiani con strafottenza: “Andremo a Bassano a bere caffè”. Ma sul muro di una casetta, semidistrutta e abbandonata, una mano ignota scriveva la struggente “risposta” italiana: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati”.

Così l’arrivo dei ragazzi del ‘99, che cantavano con spirito innocente e temerario tipico dell’età, fu un’iniezione di coraggio e di tenerezza per i veterani, che erano stanchi e demoralizzati da tre anni di conflitto sanguinoso, dal freddo, dalle malattie, dalla fame. E soprattutto dalla nostalgia di casa.

Essi furono subito percepiti dai “vecchi” alla stregua di fratelli minori, fratelli che infondevano speranza nel momento più buio. Giovani del popolo, figli di contadini, artigiani, falegnami, che bisognava paternamente proteggere, anche perché il loro addestramento era stato rapido, troppo rapido e approssimativo.

I ragazzi del ’99 furono protagonisti di tre battaglie decisive, che capovolsero le sorti del conflitto: tutte e tre vinte; quella etichettata come “battaglia d’arresto” a cavallo fra il Trentino e il Veneto il 10 novembre 1917, quella del “solstizio” a metà giugno del 1918 e la “battaglia di Vittorio Veneto” fra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918.

Il generale Diaz così scrisse quando li vide in azione: “Io voglio che l’esercito sappia che i nostri giovani fratelli della classe 1899 hanno mostrato d’essere degni del retaggio di gloria che su essi discende”. A ben undici di questi soldati-ragazzini, originari di Roma, Milano, Messina, Ariano Irpino di Avellino, Riva di Trento, Firenze, Cagli di Pesaro, Longobucco di Cosenza, Novara e Lucca, cioè figli dell’Italia da quel momento libera e unita dal Brennero a Lampedusa, furono assegnate medaglie d’oro al valore.

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