Tre giorni di “Cadore”

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    Correva l’anno 1953 e, dopo ripetuti solleciti dell’intera comunità provinciale, Belluno poteva vedere coronato il sogno di una Unità alpina nelle sue caserme, ovvero la nascita della brigata “Cadore”, che sarebbe poi stata sciolta nel 1997.

     

    Tuttavia il ricordo della “Cadore” non ha mai cessato di esistere, tanto che dal 1999 ad oggi si sono celebrati ben quattro raduni, l’ultimo dei quali dal 20 al 22 settembre scorso. Il tutto preceduto, sabato 14 a Villa Patt di Sedico (sede del museo del 7°), da una significativa rappresentazione dedicata alla figura e all’opera del beato don Carlo Gnocchi. La tre giorni bellunese era iniziata il venerdì con l’inaugurazione della mostra “1963-2013: le truppe alpine e il disastro del Vajont” con immagini del fotoreporter alpino Bepi Zanfron e la proiezione della clip sul medesimo argomento.

    Nella stessa serata successo della commovente pièce proposta dagli ex alunni della classe 4ª 2011-12 della scuola primaria di Bolzano Bellunese, sulla colonna sonora del coro Minimo Bellunese, in ricordo del 70° anniversario della ritirata di Russia. Sabato, dopo l’omaggio ai Caduti alla caserma “Salsa-D’Angelo” e alla stele di viale Fantuzzi, c’è stato l’incontro con le autorità in prefettura durante il quale il questore Attilio Ingrassia ha donato alla sezione di Belluno un ritratto di don Gnocchi. Le autorità si sono quindi recate nella basilica di San Martino per il rito religioso presieduto dal vescovo Giuseppe Andrich.

    Domenica la grande sfilata per le vie cittadine con uno stupendo e variopinto colpo d’occhio al passaggio sul Ponte degli Alpini e parecchi e calorosi applausi del pubblico all’indirizzo delle penne nere. Scaricata la tensione per il grande sforzo organizzativo profuso gli alpini bellunesi guardano avanti. “Zaino a terra solo per un giorno, poi di nuovo al lavoro. Primo obiettivo: completare la sede con i locali riservati alla nostra Protezione Civile ed una sala convegni”: così il presidente Dal Borgo ha sollecitato i suoi alpini. In vista dell’appuntamento del 2 marzo 2014 quando dovranno essere eletti il nuovo presidente e gran parte del direttivo sezionale. La strada tracciata da Arrigo Cadore e ora da Angelo Dal Borgo dovrà trovare degni e impegnati continuatori.

    Dino Bridda


    CADORE FA RIMA CON AMORE

    Si è da poco spento il suono delle ultime note regalateci da qualche componente ritardatario delle fanfare e l’enorme tendone con duemila posti a sedere, fino a poco prima gremito di alpini per il pranzo, si svuota quasi del tutto. Fuori, nel cortile, attorno ai due posti bar, si attardano gli ultimi gruppetti di alpini. Lentamente il silenzio, per due giorni rotto dall’allegro vociare dei congedati della “Cadore” riprende possesso della “mia” caserma “Fantuzzi”, delle enormi camerate, dei corridoi, della piazza d’armi, tutto nuovamente destinato a ritornare nell’abbandono.

    Ancora una volta ripasso per l’androne di ingresso e per il posto di guardia in cui, ai tempi, ho passato giorni e notti; la nostalgia e l’emozione prendono il sopravvento e ripenso alla sfilata del mattino, al ritorno nelle vie, nelle piazze e sotto i portici (in questi quarant’anni tutto il centro di Belluno è rimasto praticamente immutato nella sua intramontabile bellezza), alla indimenticabile ed entusiasmante serata del sabato sera, con il concerto della fanfara dei congedati della “Cadore”, ed alle parole con cui il presidente sezionale Angelo Dal Borgo ha concluso la serata; “La Cadore è ritornata a casa!”, a cui non ho saputo trattenere (nascondendole) alcune lacrime. Si, ancora una volta, ma non sappiamo per quanto ancora, la “Cadore” è ritornata a casa!

    Era stato proprio in una sera di quel 1997 quando, per caso, ascoltando un TG, un veloce servizio comunicava che, con una breve ma solenne cerimonia, la brigata alpina Cadore veniva sciolta, che io, prossimo alla cinquantina, e che fino ad allora mi sentivo in grado di controllare tutte le emozioni, mi sono ritirato e, lontano dai figli ormai grandi, nel buio della camera non sono stato in grado di trattenere emozione e qualche lacrima. Infatti, in quel momento, avevo capito che tutta una parte della mia vita, tutto un mondo, era finito. E lacrime sono state alle parole “La Cadore è ritornata a casa!”. Infatti nonostante la gioia di essere ritornato a Belluno, nonostante l’orgoglio provato a gridare ancora una volta “Cadore” (non in piazza d’armi, ma durante la trascinante esecuzione della “bella del Cadore” da parte della Fanfara), nonostante la soddisfazione per aver ritrovato il mio capitano di compagnia e qualche commilitone, c’era la consapevolezza che, ancora una volta la Cadore era tornata a casa, ma con qualche alpino di meno, con tutti un po’ più vecchi e con il sospetto che forse non tutti ci saremo al prossimo appuntamento, fra cinque anni.

    Ma l’importante era che, ancora una volta, la Cadore fosse ritornata nella “sua” Belluno, perché ancora viva nei cuori di tanti alpini e della popolazione che li ha abbracciati con gioia. Ed è stato con queste emozioni, con questi sentimenti e speranze di tornare ancora una volta che, usciti dalla Fantuzzi, io e mia moglie (allora fidanzata), ci siamo avviati con un po’ di malinconia alla macchina per riprendere il lungo viaggio verso la Brianza, la quotidianità. Una quotidianità in cui la gente probabilmente non capisce più certe emozioni, forse sorride di commiserazione quando ci vede con il cappello in testa ma resta stupita ogni volta dall’orgoglio e dalla dignità con cui lo portiamo e dal fatto che nonostante gli anni portiamo questo orgoglio nel cuore. Sì, ancora una volta la Cadore è tornata a casa e io sono tornato a casa, ancora una volta, con la Cadore nel cuore.

    Flavio Tresoldi