È stato bello. Davvero

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    “È stato bello”, così ha commentato la stampa, compresa quella di lingua tedesca: “Wir feiern gemeinsame Werte” (“Festeggiamo valori comuni”). “Alpini, tornate”. Nulla sarà più come prima a Bolzano, che lunedì mattina si è svegliata diversa. Eppure le strade erano pulite, come sempre. Come sempre il traffico scorreva, gli autobus erano puntuali alle fermate. Dell’invasione degli alpini restava solo tanta nostalgia perché la città sembrava vuota. Solo sui prati che costeggiano l’Isarco, il torrente che taglia in due la città, c’era qualche tenda smontata fra masserizie pronte per essere caricate sulle auto. L’erba non mostrava alcun passaggio, non una carta per terra. Traffico di biciclette lungo le piste ciclabili, qualche bolzanino passeggiava sui sentieri, con bambini, carrozzine: come sempre.

     

    Ma qualcosa era successo nei tre giorni precedenti: erano cadute le barriere fra i due gruppi linguistici, non c’era più traccia di quella “inimicizia ereditaria”, imbarazzante se guardata con occhi nuovi. Perché s’era scoperto che si stava bene insieme, ciascuno con la propria peculiarità, cultura, storia: diverse ma non in contraddizione, per quella dimensione europea della città, tradizionale terra di mezzo e crocevia di genti, troppo a lungo offuscata da nazionalismi ormai estranei alla convivenza. Era successo, in tre giorni, che decennali tentativi di “riconciliazione”, risoluzioni delle Nazioni Unite, trattati e leggi e dichiarazioni ufficiali di Roma, Innsbruck e Vienna rimaste sempre a mezz’aria e in discussione, avevano lasciato il posto a un sentimento nuovo che tutti si augurano resista, ora che s’è scoperto di stare bene insieme.

    I segni erano nell’aria. Già il presidente della Provincia autonoma Durnwalder, alla conferenza stampa del mese prima (ne abbiamo scritto sul numero di maggio) aveva lanciato un appello alla convivenza, possibile e desiderabile da entrambi i gruppi. Poi, nei giorni dell’Adunata, era stato un editoriale del direttore del Dolomiten, molto favorevole alla presenza degli alpini, ad invitare ad abbandonare le reciproche ruggini e diffidenze per riscoprirci “amici, fratelli, rispettosi e responsabili nei confronti dell’altro”. Anche la Chiesa altoatesina, per mezzo del vescovo dell’antica diocesi di Bolzano e Bressanone, mons. Muser, non ha fatto mancare la sua voce qualificando nel solco della tradizione cristiana gli alpini, con il loro volontariato, il senso della famiglia e il servizio ai bisognosi, il rispetto per l’uomo.

    Il resto lo ha fatto la gente ritrovando la dimensione del vivere in una realtà cambiata. E non solo a Bolzano, ma anche nelle altre città, da Bressanone a Vipiteno, a Merano, alla Bassa Atesina. Basta leggere le lettere pervenute ai direttori dei giornali, di lingua italiana e tedesca che scrivono di lettori entusiasti degli alpini e della festa e si chiedono quando la rifaranno di nuovo e condannano una certa campagna nazionalista e strumentale. E di grande festa s’è trattato, rispettosa dei cittadini e del territorio. Festa incredibile e irripetibile, che ha coinvolto proprio tutti, senza eccessi ma non meno spontanea e allegra. Alla sfilata battevano le mani e lanciavano grida in italiano e in tedesco, sulle tribune era un tripudio; dalle finestre, anche da quelle che pur non erano imbandierate, si applaudiva.

    La sfilata è iniziata in via Milano, con la gente emozionata e commossa nel vedere, e sentire, la fanfara della brigata alpina Taurinense (si alternerà durante la giornata, con quella della Julia, a scaldare i cuori) e poi la bandiera di guerra e le tre compagnie di alpini, e dietro il Labaro con una scorta di eccezione: il presidente nazionale con a fianco il capo di Stato Maggiore dell’Esercito, gen. Graziano, il capo di Stato maggiore della Difesa, gen. Abrate, alpini entrambi, ed il comandante delle Truppe alpine gen. Primicerj a chiudere l’eccezionale quartetto.

    Poi il trionfale passaggio per via Torino, via Roma e corso Italia fino in corso della Libertà e in piazza della Vittoria, dove la sfilata si è sciolta. In corso Italia c’erano le tribune con migliaia di spettatori in piedi a sventolare bandierine e fazzoletti e gli alpini a rispondere battendo le mani. Era una corrispondenza reciproca, unica. Dodici ore passate in un soffio, ad assistere al passaggio di tanti blocchi di alpini dai molti colori in cui predominava il bianco, il rosso e il verde, alternati all’arancione dei volontari della protezione civile. Dai reduci alle sezioni della Dalmazia alla Sicilia, da Trieste, a Cuneo, fino a quelle più vicine, Trento e poi, in un crescendo rossiniano, Bolzano, finalmente.

    Quante emozioni, quanta storia. In piazza Mazzini è avvenuto il passaggio del testimone, pardon!, della Stecca fra Ferdinando Scafariello presidente della sezione altoatesina e Bruno Plucani, presidente della sezione di Piacenza, che sta preparando la prossima Adunata ormai da un anno. Infine l’ultimo atto: l’ammainabandiera. Era ormai sera. Spirava un vento gelido dal Catinaccio imbiancato, la gente è rientrata in fretta nelle case. La città in poche ore si è svuotata. Come ha scritto un giornale “Schönes Fest ist nun Geschichte”, La bella festa è ora storia. Il frutto di quanto ha lasciato, però, ci auguriamo resti d’ora in avanti anche nella quotidianità. È stato bello, davvero.

    Giangaspare Basile