Solo se liberi saremo anche profetici

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    Mi scrive un artigliere da montagna, di cui ometto il nome: «Penso che gli alpini del Nord che hanno combattuto e sono morti, tra i quali anche mio nonno, se è vero che esiste un al di là, non riusciranno a darsi pace nel sapere d’essere morti per questo modello di Patria che, a distanza di sessantasette anni non è ancora unita in nulla, né culturalmente, né economicamente e neanche quando c’è da fare sacrifici. E sono sicuro che se avessero potuto scegliere, visto come sono andate le cose, avrebbero combattuto per lasciarci una Padania libera e non un Nord schiavo di governi romani».

    Non ho nessuna intenzione di giudicare alcuno ma neppure di prestarmi a giochi di parte. Ho scelto di prendere spunto da questo scritto perché vorrei dire qualche parola, spero ultimativa, alle tante lettere che mi arrivano sul tavolo lamentando cappelli alpini alle manifestazioni di partito. È chiaro che personalmente ognuno è libero di avere il cuore dalla parte che preferisce. Ma è altrettanto chiaro che il cappello alpino non può essere ceduto e strumentalizzato a vantaggio di alcuna parte. Per un motivo molto semplice. Cioè, per il fatto che esso, per il suo valore culturale e morale, è un simbolo che non ci appartiene in maniera privata, come se si trattasse della camicia o delle mutande che indossiamo. Queste possiamo usarle come vogliamo. Farne una bandiera o adoperarle come stracci.

    Il cappello no, perché ognuno di noi ha il possesso materiale del proprio, ma non quello morale. I diritti d’autore sono d’altri, perché il cappello racchiude dentro una storia, degli ideali, per cui sono morte generazioni di uomini e pertanto non può essere ceduto, come si farebbe con l’argenteria di casa, ai banchetti della politica. Il cappello ha inoltre una vocazione, che è quella di servire senza chiedere ad alcuno il passaporto di provenienza o l’appartenenza geografica.

    È un passepartout universale, nel senso che sotto l’ombra della sua penna non ci sono figli e bastardi, ma soltanto uomini liberi e uguali nella dignità. Se uno lo vuole indossare deve sapere che non può essere a libro paga di una parte. Vorrà dire che se qualche causa è avvertita come più importante dell’identità alpina, il cappello basta attaccarlo al chiodo e sostituirlo con altri berretti e altre bandiere. Dice il nostro artigliere che forse gli alpini del passato non avrebbero combattuto se…

    Penso, caro amico, che i nostri morti, se mai dovessero avere qualche indignazione (penso però che abbiano più che altro commiserazione) quella non verrebbe dall’aver combattuto per una questione di confini geografici. La loro compassione nascerebbe piuttosto dal vedere il degrado di una politica che ogni giorno di più si rivela incapace di concepirsi come servizio disinteressato al bene comune. Una politica degenerata e ingorda, comune a tutti i partiti. Sottolineo tutti. Il ché non ci autorizza a fare divisioni manichee, come se il male fosse tutto da una parte e il bene tutto dall’altra. Mi verrebbe da citare, caro amico artigliere, una famosa frase di un famoso Maestro: «Chi è senza peccato… ».

    Davvero tu ti sentiresti in coscienza di lanciare per primo la pietra, convinto che nella tua casa partitica non sia entrato il virus della corruzione? Li abbiamo ben presenti gli scandali che hanno toccato l’Italia in questi ultimi tempi, infettando il Paese in maniera trasversale, sia geografica che partitica. Credo che, come alpini, cioè in quanto gente che ha a cuore il bene sociale, dobbiamo avere grande considerazione e grande rispetto per la politica, quella vera e maiuscola.

    Quando essa è rettamente intesa costituisce la più alta forma di carità. Ma amare la politica è non piegare lo spirito alpino a strategie di parte, fino ad annacquarne l’identità. È piuttosto far prevalere questa identità, fatta di servizio e di disinteressata dedizione, perché diventi capace di contaminazione positiva. Perché dovremmo credere che solo il male può infettare il corpo sano? E perché non dovrebbe essere vero anche il contrario? Se saremo liberi saremo certamente anche più poveri, cioè godremo di minori vantaggi, perché non ci siamo lasciati comprare da nessuno. Ma solo se poveri, cioè ricchi delle nostre sole risorse e delle nostre mani operose, solo così saremo e resteremo liberi. Cioè padroni della nostra memoria, della nostra identità e del nostro futuro.

    Bruno Fasani