Soldato semplice

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    Saranno numerosissime le iniziative legate al centenario della Grande Guerra che coinvolgeranno il nostro Paese nei prossimi quattro anni. A un secolo di distanza alcune regioni, penso al Trentino Alto Adige e al Friuli Venezia Giulia allora parte dell’impero austro-ungarico, hanno già dato avvio a una serie di appuntamenti nel segno della memoria. Altri seguiranno con l’avvento del prossimo anno. Così sarà per il film di Paolo Cevoli, “Soldato semplice” girato nella magnifica terra, la Valtellina, eccezion fatta per preludio ed epilogo che avranno come protagonista l’immagine conosciuta in tutto il mondo, dei tre picchi rocciosi che affiorano dal blu: i faraglioni di Capri.

    Due le figure chiave: Pasquale Aniello, ragazzo del ’99 e Gino Montanari, maestro elementare riminese costretto a partire per il fronte come volontario. Gino, interpretato da Cevoli, lascia il suo paese, la sua scuola e le sue amanti per andare a combattere in alta Valtellina, nella zona dell’Ortles Cevedale. Ed è proprio in trincea, tra freddo e spavento, che incontrerà Aniello. Un’amicizia diversa, una amalgama di sincerità e sentimento che cambierà il loro modo di guardare alla vita. Girano, attorno a questi due personaggi, diverse figure di soldati: i fratellastri Gervasoni e Carminati, Toni il montanaro, il Bocia e ancora il sergente Mazzoleni e molti altri. Le inflessioni di pronuncia, i dialoghi in dialetto senza sottotitoli, la bravura di attori esperti o in erba eppure promettenti, fanno di questa pellicola una alchimia di sapori e di contrasti.

    Sul set soffia un’aria fresca. I volti un poco provati da orari, prove e temperature (gli esterni a tremila metri), non hanno per nulla intaccato lo spirito giocoso che ha animato, fin dall’inizio, questa grande avventura. In una baracca ricostruita all’interno di una splendida baita d’inizio secolo, proprietà del comune di Valdidentro frazione Premadio (Sondrio), messa a disposizione gratuitamente dalla Pro Loco, si muovono in un andirivieni continuo, parecchie persone. Sembra impossibile che oltre trenta tra attori, troupe e comparse si spostino in sincronia perfetta, l’uno senza intralciare l’altro. Al “ciak si gira” cala un silenzio assoluto. Gli artisti che fino a poco prima scherzavano tra loro, sono come rapiti dal personaggio che stanno interpretando. Per tutti, una nuova voce, un nuovo volto. Un altro io. È un po’ come essere nelle viscere di una grossa macchina: ogni ingranaggio è importante, indispensabile affinché tutto funzioni e si muova senza esitazioni. Senza arresti.

    Un lavoro pensato e prodotto da Paolo Cevoli, attore d’una espressività sorprendente, che si propone di raccontare una tragedia, come quella della Grande Guerra, in chiave leggera. Una leggerezza che non è superficialità né qualunquismo, tutt’altro. Un omaggio all’indole del soldato italiano, dell’alpino in particolare, che sa scherzare persino nei frangenti più duri. Una peculiarità raccontata allo spettatore in modo schietto; non sono gli aspri combattimenti o le tecniche di conflitto ad emergere, ma la vita nelle ore di calma concesse dalla guerra. Quei dialoghi silenziosi nella luce fioca di una candela, la stesura difficile di una lettera per la mamma, la paura sfacciata di finire morti ammazzati. Il desiderio covato di fuggire via, verso il paese ormai lontano. Eppure nonostante tutto, la voglia di sorridere. Come sapeva fare magistralmente la “Ecia”, l’indimenticato Gianmaria Bonaldi nel suo capolavoro che è Ragù. E questa è la stessa volontà di Paolo Cevoli.

    Aiutato da una squadra di attori che ha saputo coinvolgere e impastare, da una troupe di professionisti duttili e instancabili. Come palcoscenico una porzione di Alpi che lascia senza fiato. E nel mezzo l’affetto dimostrato dalla gente del posto: montanari schivi, ma generosi, prudenti nell’approccio, essenziali eppure marcati da una dolcezza senza limiti. Ecco allora che sui titoli di coda di “Soldato semplice”, al cinema da febbraio 2015, ci scopriremo divertiti e commossi. I dialetti si saranno mescolati fino a fondersi, le vite e i destini, incrociati come nella trama d’un ricamo. La guerra avrà lasciato un segno in ognuno dei protagonisti, una cicatrice che allo sguardo, ogni volta, farà riaffiorare un ricordo di quei tre anni lunghi una vita intera.

    Mariolina Cattaneo