Sfilano orgoglio e tradizione

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    Sui contrafforti prealpini del Grappa e del Tomba si distinsero per coraggio, determinazione e valore. Poi furono in Russia, mandati a combattere una guerra sporca. Ancora prima sul fronte greco albanese, sulle montagne fangose d’una terra di pastori. Non possedevano nulla, solo qualche fotografia della morosa e della mamma.

     

    L’equipaggiamento inadatto, gli armamenti pure. Avevano tuttavia qualcosa che in più d’una occasione spronò loro a non mollare. Era il senso di appartenenza a un gruppo di persone che da tempo condivideva tutto, persino disperazione e vergogna. Erano fratelli, alcuni morivano negli scontri col nemico, altri feriti e ricoverati lontani negli ospedali da campo, il resto a combattere.

    Tutti insieme erano famiglia: uomini normali, che nonostante covassero nell’animo i sentimenti più controversi rispondevano a dovere e tradizione idealmente rappresentati da quello stendardo: la Bandiera del proprio reparto. Un drappo tricolore che faceva la vita di trincea, spesso tagliato e affidato un pezzo a ciascuno con la speranza che potesse rivedere baita. Quel simbolo ritorna ogni anno ad ogni Adunata per sfilare nel tardo pomeriggio del venerdì. A Pordenone c’era la Bandiera di guerra del Terzo da Montagna, perché questa terra è la terra della Julia, da sempre. In ogni casa c’è un cappello a ricordarlo ed è forse a questo che pensava la folla silenziosa, accalcata dietro alle transenne, in attesa. Il suono dei tamburi si faceva via via più vicino, si riconoscevano ora anche le note degli strumenti a fiato.

    La Bandiera condotta dagli ufficiali in armi avanzava, così come l’emozione. Un momento intenso che ognuno ha vissuto a suo modo, nell’animo, intimamente. L’arrivo della Bandiera di guerra è questo e molto altro. A Pordenone è partita dalla caserma intitolata alla Medaglia d’Oro Pietro Mittica e percorrendo un breve tragitto è arrivata alle porte dell’antica Loggia comunale, un’opera d’arte realizzata interamente in laterizio che si fa rosa poi arancio con il sole in quell’attimo che precede l’imbrunire. Ad attenderla il Labaro con i vertici dell’ANA, il comandante delle Truppe alpine, gen. Alberto Primicerj. Uno di noi. Un uomo che ha abbracciato questa meravigliosa famiglia ufficializzando la naturale fusione tra alpini in armi e alpini in congedo.

    Accanto, due reduci sull’attenti: figure consumate dagli anni, di quella magrezza che incide sul portamento ma che non impedisce loro di essere lì e di portare la mano alla tesa del vecchio cappello alpino per salutare la Bandiera che nel bianco, nel rosso e nel verde, nasconde il volto di tutti i fratelli che mai fecero ritorno e di ogni reduce che, invece, tornò a baita per raccontare ma che oggi non è più tra noi. Sì, ci sono anche loro, quelli del Terzo da montagna. Bedeschi e Covre, Ivo Emett, il colonnello Rossotto e il tenente Marchisio con le schiere dei bocia. Sono tutti lì in quel drappo che si tende appena nell’aria e li saluta.

    Mariolina Cattaneo