Servizio obbligatorio

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    Poter conoscere realtà sociali diverse dalla propria, condividere le fatiche per un risultato comune, capire che la propria libertà deve considerare quella altrui; aver consapevolezza che oltre l’io e l’altro c’è un terzo soggetto che si chiama Stato, che è espressione di una comunità e che riconosce dei diritti ma richiede dei doveri. Era questa l’aria che molti giovani respiravano a pieni polmoni durante il servizio obbligatorio, prima della sua sospensione, prima che fossero lasciati “finalmente” liberi di autodeterminarsi civicamente. In quel periodo, che alcuni con troppa superficialità chiamano “un anno buttato”, chi si affacciava alla maggiore età poteva beneficiare di un periodo formativo addizionale rispetto a quello affidato alla famiglia e alla scuola.

     

    Oggi, a 13 anni dalla sua sospensione, si avverte la necessità di colmare un vuoto educativo che sta toccando in maniera trasversale tutti gli ambiti della società, dalla scuola alla famiglia, dalla Chiesa alla politica. Sono questi i motivi che hanno mosso l’Associazione Nazionale Alpini, l’Associazione Nazionale Bersaglieri e l’Associazione Nazionale del Fante, a chiedere con forza il “ripristino di un periodo di servizio obbligatorio dei giovani a favore della Patria, nelle modalità che la politica vorrà individuare”. Ed è stato questo il tema della conferenza stampa del 7 febbraio scorso al Palazzo delle Stelline di Milano, alla quale sono stati invitati al confronto i rappresentanti dei maggiori partiti candidati alle elezioni.

    «Le tre Associazioni chiedono alla politica di interessarsi di un problema culturale ed educativo. Si tratta di tornare a seminare nelle nuove generazioni il senso della responsabilità verso quello che è il bene comune», ha esordito il direttore de L’Alpino Bruno Fasani, presentando la conferenza. «Non sfugge – ha proseguito – che il concetto educativo nelle nuove generazioni oscilla tra il polo delle competenze e quello del mito del buon selvaggio, ovvero l’idea che debbano crescere liberi perché poi arriverà la stagione delle responsabilità ». L’idea è appunto quella di chiedere ai giovani di assumersi la responsabilità attraverso un servizio al Paese, incontrando una sensibilità che sta crescendo non solo nelle associazioni d’Arma ma anche tra la gente, nel popolo.

    Sul palco i vertici delle Associazioni hanno illustrato i concetti che sono alla base di questa richiesta, che non va ricercata in un grido d’allarme perché le fila si stanno assottigliando a causa della sospensione della leva. Il Presidente dell’Ana Sebastiano Favero, ha ribadito come il servizio obbligatorio sia un tema fondamentale per la crescita del Paese, per far rinascere un’educazione civica e il senso dello Stato. Occorre far comprendere ai giovani che «è molto più gratificante dare che ricevere». Il vice Presidente dell’Associazione Nazionale Bersaglieri Daniele Carozzi ha parlato del senso del dovere e del rispetto come valori che si radicavano meglio nei cittadini al servizio della Patria e si è soffermato sui costi economici di un servizio obbligatorio che avrebbe un ritorno sociale molto importante, diventando non una spesa ma un investimento per il futuro. Gianni Stucchi, Presidente Associazione Nazionale del Fante, ha parlato dell’esigenza di salvaguardare quei valori primari dello stare insieme, in modo che il nostro Paese possa crescere non solo economicamente. E si è soffermato sull’art. 52 della Costituzione che definisce la difesa della Patria come un “sacro dovere del cittadino”.

    A confrontarsi su questo tema sono intervenuti Emanuele Fiano, responsabile delle Riforme del Pd, Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, Ignazio Messina, segretario nazionale dell’Italia dei Valori, Lorenzo Cinquepalmi, segretario regionale del Psi Lombardia, Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia e Angela De Rosa per CasaPound. Tutte le forze politiche si sono dette concordi sull’analisi che sta alla base della richiesta e sulla necessità di un servizio obbligatorio per i giovani. Con diverse sfumature.

    Fiano è stato chiaro nel sottolineare come il Partito Democratico prenda in considerazione unicamente «il servizio civile obbligatorio – quindi non militare – attuato in forma contemporanea». La proposta del Pd segue la linea tracciata da Francesca Bonomo, membro della Commissione Difesa alla Camera dei Deputati, in cui si sottolinea un richiamo alla “difesa non armata della Patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica” che si ritrovano in un servizio civile universale, ma volontario (e quindi non obbligatorio). Questa impostazione ricalca dei concetti che arrivano da lontano e si ritrovano anche nei documenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2006 (la leva era stata sospesa da poco), in cui si dà una lettura estensiva del concetto di “difesa” espresso nel primo comma dell’art. 52 della Costituzione. Sulla base della legge n. 230 del 1998 e n. 64 del 2001 si afferma infatti che il servizio civile «risponde al dovere di difesa» e «concorre alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari».

    Ma torniamo alle parole dei politici. Matteo Salvini, segretario della Lega, ricorda la proposta di legge già presentata dal suo partito e che prevede per i giovani 6 mesi di servizio obbligatorio su base regionale che potrà essere, a scelta, civile o militare. Il segretario dell’Idv Ignazio Messina ha parlato della necessità di contrastare tre gravi problemi, quali la carenza di legalità, la poca sicurezza dei cittadini e lo scarso rispetto dello Stato e delle istituzioni. La sua proposta è quella di un anno obbligatorio di servizio civile o militare. Lorenzo Cinquepalmi del Psi si dice favorevole ad un servizio di 6 mesi al termine della scuola dell’obbligo, mentre Angela De Rosa di CasaPound ritiene necessaria la reintroduzione della leva obbligatoria.

    «Il ritorno al servizio di leva è utopia», ammonisce La Russa, rivendicando la bontà del progetto mininaja, attuato quando era ministro della Difesa e che il nuovo Governo ha eliminato. Sulla falsariga di quell’esperienza propone per i giovani un servizio di 40 giorni da svolgersi al termine dell’obbligo formativo scolastico.

    Occorre anche fare chiarezza sulla situazione attuale poiché la “Legge per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” in votazione alle Camere ha elementi che si discostano in maniera notevole dall’appello fatto dalle tre associazioni d’Arma, ad esempio la volontarietà del servizio. L’obbligo al servizio dovrebbe invece imporsi come elemento cardine, allo stesso modo dell’obbligo scolastico, perché dire ad un giovane “se non hai voglia non partecipare”, significa escludere proprio coloro che sono più disattenti a queste tematiche. Noi la sensibilità al servizio abbiamo potuto assimilarla sotto naja, oggi dovrebbe essere ugualmente un bagaglio formativo imprescindibile per un giovane che si appresta ad entrare nella società. Certo, non siamo perfetti, ma le prove della bontà di cosa siamo le abbiamo da quasi un secolo sotto gli occhi. Qualcuno di chi ci governa si è mai chiesto come mai l’Ana è una delle realtà più attive nel mondo della solidarietà? E qualcuno si è mai chiesto come faccia ad elargire 70 milioni di euro in solidarietà ogni anno?

    Tempo fa in Sede nazionale partecipai ad una riunione con alcuni osservatori Osce che volevano studiare una delle realtà più organizzate del nostro Paese, la Protezione Civile Ana. A sentire il numero di 15mila persone che erano a disposizione per le emergenze, l’emissario statunitense, avvezzo al loro sistema di coperture finanziarie, insisteva nel domandare: «Ma quanto vi costano gli stipendi?». Credo ci sia voluta una buona mezz’ora – e non era colpa della traduzione in inglese – per far capire all’incredulo funzionario che non percepivano alcuna paga, ma lo facevano perché erano spinti da un sentimento che si chiama spirito di Corpo che si era formato con il servizio militare e che una volta terminata quell’esperienza aveva attecchito più facilmente nel sociale. Ecco, lo Stato dovrebbe concorrere a ricreare urgentemente un terreno in cui ogni giovane debba essere educato e poter crescere in coscienza civica, per sfuggire alla desertificazione del senso comune.

    Matteo Martin