Segnali di una nuova alba

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    Sono un Capogruppo (forse del Gruppo più piccolo dell’Ana: 11 alpini e 3 amiche), che tira avanti come chi si trova con l’auto in riserva sulla pista nel deserto. Fermarsi? Mai (sarebbe la fine). Tornare indietro? Impossibile (manca la benzina). Unica scelta? Continuare, andare avanti con la speranza che, dietro la prossima duna, spunti un punto di rifornimento: solo così avremo salva la vita. Ho usato questo paragone perché certe situazioni le ho vissute, personalmente, quando lavoravo nel Sahara algerino.

     

    Detto ciò, vengo all’editoriale di maggio: “Come salvare l’Ana?”. Dal punto di vista numerico, siamo in un vicolo cieco: ogni anno alpini “vanno avanti” e i nostri tesserati diventano sempre meno. Metaforicamente possiamo dire che siamo come una candela accesa che continua a fare la stessa luce fino all’ultimo, ma poi arriverà, improvvisa, la fine. Dobbiamo trovare una soluzione. Vista la carenza che abbiamo nella manutenzione del territorio nazionale, io credo che un servizio obbligatorio nella Protezione Civile (durata almeno sei mesi) sarebbe la scelta giusta (lasciamo perdere la mininaja… sbandierata dal siculo ministro: quella è roba da boyscout, non da alpini). Sei mesi sarebbero più che sufficienti per svegliare tanti “bambinoni”. Cosa dovrebbero fare? Tante cose attendono, ma – riferendomi alla montagna (Perrucchetti ci ha creato per difenderla) – ecco il mio elenco. Imparare la disciplina ovvero ubbidire prima, comandare poi; imparare a lavorare manualmente, usare picco e pala (per pulire le cunette delle strade) scure e motosega (per ripulire gli alvei di fiumi e torrenti) martello, tenaglia, pinza e cacciavite (per sapersela cavare sempre), guidare un escavatore, una ruspa, un camion… (anche i laureati hanno le mani); imparare ad aiutare i contadini della montagna, fienagione, mungitura, pulizia del bosco, della vigna, dei sentieri; per le ragazze ci sono le case di riposo che aspettano sempre amicizia e piccoli aiuti, uffici con tante pratiche in ritardo e un’infinità di bisogni sociali (tralascio le armi: Dio ha fatto le donne per dare la vita); infine, reddito di cittadinanza? No, qualcosa di meglio (guadagnarsi il pane quotidiano). Caro don Bruno, per ora mi fermo qui, mi tornano in mente le parole che l’ex Cavaliere disse quando approvarono la fine della leva: “Ora i nostri giovani non dovranno più perdere un anno”. Parole, visti i fatti, che suonano blasfeme: ora anche il miraggio “London” se ne è andato (laureati&lavapiatti sul Tamigi andavano bene a tanti…). Bisogna tornare coi piedi per terra: l’unione fa la forza. Dalla finestra (Alpi Retiche) osservo l’ennesimo violento acquazzone che sferza la mia valle in questi giorni, mi sembra di essere tornato in India, dove ho lavorato, coi monsoni: l’uomo ha fatto più danni nel secolo scorso che in tutti gli anni di storia precedenti, ora la natura ci presenta il conto. Insegniamo ai ragazzi ad amarla un po’ di più: la realtà naturale non è quella virtuale. Ridateci subito il vecchio scarpone (almeno quello): montanari si nasce, alpini si diventa!

    Mario Nonini, Sezione di Colico

    Caro Mario, quanto carisma nella tua creatività mentale. Carisma, come dote di natura ma affinato da tanta esperienza maturata girando il mondo. Non abbiamo molti motivi di speranza sul nostro futuro, anche se sono personalmente convinto che il futuro nasconda incognite che oggi ci impediscono di vedere dove andremo a finire. Non è senza significato che la Nato torni a parlare di difesa del territorio. La Svezia sembra pronta a far ripartire il servizio militare obbligatorio. Francia e Germania ne parlano… segnali di una nuova alba?