Se lo Stato non arriva

    0
    48

    Piegati sotto il peso dei mattoni o con le braccia intente a spalare, la solidarietà degli alpini non è propaganda o belle parole, è l’impegno di chi non ha paura di far fatica. Per fortuna non ci si può far nulla, è la montagna che li ha creati così: altruisti, fieri e operosi. Sono caratteristiche che li proclamano artefici perfetti per intervenire dove sempre più spesso enti e istituzioni non arrivano, perché dispersi nei meandri della burocrazia o dell’inattendibilità.

     

    Lo aveva detto con forza nel 2009 il sindaco di Fossa Luigi Calvisi, in un caso eclatante come quello del terremoto in Abruzzo, che con l’amarezza, acuita dal ruolo da ufficiale dello Stato, aveva constatato che gli alpini con la loro costanza ottengono sempre molto più di quello che investono, riuscendo a fare l’opposto di ciò che spesso accade nella gestione della cosa pubblica. Le gocce che formano il mare della solidarietà alpina nascono in ogni dove, quasi in ogni Comune dove c’è un Gruppo, e ci rivelano piccole, grandi storie di vita e di amore. Come quelle che da dodici anni la sezione di Aosta incontra grazie all’Operazione stella alpina con la quale, offrendo dei vasetti di piantine, raccoglie denaro che viene devoluto a persone in difficoltà, enti o associazioni. “Il ricavato – spiega il presidente Carlo Bionaz – ricade interamente sul territorio. Nel corso degli anni abbiamo aumentato i fondi raccolti fino a raggiungere la somma complessiva di 400mila euro. La gente dona più volentieri perché sa che aiutiamo tanti bisognosi”.

    Storie come quella del piccolo Davide, 2 anni, affetto da una rarissima malattia del sangue, che lo costringe a sottoporsi alle cure da quando aveva quindici giorni. I genitori che da anni prestano servizio come volontari di Protezione Civile, hanno fatto di tutto per stargli vicino e per riuscire a pagare gli elevati costi delle cure. Ma le assenze sul lavoro aumentavano, i soldi diminuivano e si palesava marcata anche l’aridità della nostra società che con lo sguardo puntato lontano, spesso non si accorge di calpestarne i frutti. In breve tempo perdono il lavoro e non sanno più come fare. Si dice che far del bene porti bene, e in questo caso è stato così. La sezione di Aosta ha donato 2.500 euro, una boccata d’ossigeno, almeno per le spese più impellenti. Analoga somma è stata consegnata alla famiglia di Nicolas, 9 anni, affetto da leucemia. I genitori fanno la spola tra casa e l’ospedale di Torino. Le spese salgono e manca un esaustivo supporto del sistema nazionale. Poi la situazione si aggrava con qualche problema famigliare e la difficoltà che insegue e incalza come un cane rabbioso.

    Storie di vita. Non si sa se avranno lieto fine, ma l’aiuto degli uomini con la penna concorre ad alleviarne il percorso. Sono storie come quella di Valter, una vita da artigiano a La Thuile, poi gli diagnosticano un brutto male. Paura e preoccupazione, la vita cambia. Inizia l’andirivieni dall’ospedale e durante l’operazione gli viene asportata una parte di mandibola e viene danneggiata la mobilità dell’arto sinistro. In un attimo cambia tutto nuovamente perché con un braccio malconcio, facendo l’artigiano, non riesce più a lavorare. Poi incontra gli alpini che lo sostengono e lo aiutano finanziariamente con i fondi raccolti dalla sezione di Aosta, dal gruppo alpini di La Thuile e dall’Associazione Soroptimist. Non risolverà tutti i problemi ma è una buona stampella.

    Dagli ospedali ai paesi, il cuore degli alpini batte forte dove c’è bisogno. Nel monferrino l’impegno delle penne nere ha messo in evidenza le carenze delle strutture scolastiche, in un mix imperfetto che svaria tra l’impotenza dei dirigenti e l’abbandono. A Mirabello le penne nere avevano raccolto dei fondi da destinare al Gruppo, ma i volontari hanno preferito impiegarli per l’acquisto di nuovi banchi per una delle aule della scuola che ne era sprovvista. A Serralunga di Crea gli alpini hanno restaurato la scuola comunale dedicando sabati, domeniche e tante serate. Ore su ore – fino a 385 -, aula dopo aula, servizi, corridoi e palestra sono diventati nuovi di zecca. Come a Valle Cerrina, dove i marciapiedi della scuola per diversamente abili, intitolata al col. degli alpini Paolo Signorini, erano da troppo tempo malconci per mancanza di fondi: in soli due giorni di duro lavoro le penne nere hanno rifatto tutto.

    È sempre un sostegno per la comunità, in barba al lassismo di chi dovrebbe controllare, sovraintendere e curare. Dai giovani ai più deboli, gli anziani e i disabili. A Trivero, nel biellese, l’attenzione è rivolta a loro. Dal 2006 sette alpini a turni mensili accompagnano 80 anziani non indipendenti a fare le commissioni più urgenti, le visite, gli esami o in ospedale. Sono sette e a turni mensili coprono le 35 frazioni comunali, spesso isolate. “È un servizio che dovrebbe curare interamente il Comune – dice il capogruppo Giuseppe Stella – ma non ha i fondi necessari e quindi si appoggia agli alpini”. Il paradosso è che gli anziani pagano una tessera al Comune per il servizio e l’ente mette a disposizione un mezzo e rifonde le spese vive, ma il personale è tutto alpino.

    Gli interventi sono tanti anche in un luogo naturale per gli alpini come la montagna. Un bell’esempio è quello della sezione di Genova e del rifugio Regina Elena, a 1.850 metri nel parco naturale delle Alpi Marittime. Costruito dagli alpini all’inizio degli anni Ottanta con tante ore di volontariato e numerose donazioni, è aperto ogni anno da metà giugno a metà settembre grazie a due soci della Sezione che a turni settimanali accolgono escursionisti italiani, francesi, tedeschi e addirittura giapponesi! Ci sono 14 posti letto, bagni, cucina e l’impianto satellitare. Costo del soggiorno? A offerta libera, ovvero impagabile. E quando chiedi: “Ma ci saranno dei costi di mantenimento da sostenere?”. Ti senti rispondere che l’unica cosa che conta è lo spirito con cui è stato creato, ben riassunto dalle parole che il giorno dell’inaugurazione furono per prime scritte sul libro dei visitatori: “Che questo rifugio accolga con amore, grande almeno quanto quello con il quale è stato costruito da pochi volenterosi e disinteressati alpini genovesi, tutti gli alpinisti che qui si fermeranno”.

    Matteo Martin