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Scoccate d’alpino
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Quarantanove anni, 3 ori e 5 argenti tra campionati nazionali, mondiali e olimpiadi, dal 1997 fino agli ultimi giochi paralimpici di Rio 2016 e campione italiano indoor nello stesso anno. Alberto Luigi Simonelli, detto Rolly, è iscritto al Gruppo di Gorlago (Sezione di Bergamo) e ha fatto la naja da artigliere nel Vicenza. Nel 1993 viene colpito da un’ischemia midollare che lo costringe sulla sedia a rotelle.
Due anni dopo si appassiona al tiro con l’arco, diventando in breve tempo atleta della Nazionale Paralimpica italiana e istruttore federale. Lo abbiamo incontrato di ritorno dal Brasile, durante la festa che gli alpini e il Comune hanno organizzato per lui. Non è stato semplice perché, com’è facile immaginare, Alberto è sempre molto impegnato con gli allenamenti e le gare internazionali. Ma, oltre alla medaglia, ci ha fatto anche questo regalo.
Alberto, 22 anni di gare e altrettanti in giro per il mondo. C’è un episodio che ricordi in modo particolare?
Sono stati tutti anni divertenti, impegnativi e intensi. A ripercorrere gli avvenimenti, certo, la prima volta che entrai in nazionale fu davvero un’emozione: non erano passati che sei mesi dal mio esordio e nello stesso giorno vinsi il mio primo campionato europeo. Un altro momento da ricordare, quando fui chiamato nella nazionale normodotati. Poi, la partecipazione come primo italiano compoundista ai giochi di Pechino (dove vinse la medaglia d’argento, ndr). Insomma, sono tanti i ricordi e soprattutto le emozioni che ho vissuto in questi anni grazie all’arco, che è diventata la mia passione.
Quando nasce questo idillio con l’arco?
Dopo la malattia, dovetti passare molto tempo in riabilitazione e tra le varie terapie c’era anche la pratica sportiva. Non c’era solamente l’arco; le discipline proposte erano svariate e devo dire che le provai tutte. Ma al momento di prendere l’arco fu “amore a prima vista”: iniziai a tirare, ad appassionarmi sempre più, a migliorare costantemente. (Sorride) - Potremmo quasi dire che fu l’arco a scegliere me. In ogni caso, non ci siamo più lasciati. Un uomo, l’arco e la piazzola di tiro in mezzo ad uno stadio pieno di gente.
Qual è l’ultima cosa che pensi prima di scoccare la freccia?
Se escludiamo la tensione, che comunque aiuta anche a restare concentrati, il resto è dedicato a visualizzare il tiro che andrò a fare da lì a breve; sulla piazzola, immagino il percorso della freccia e compio con pacata determinazione i gesti di preparazione. Poi, quando è il momento, mi concentro unicamente sul bersaglio e tutto il resto sparisce, fino a quando la freccia non termina la sua corsa. A quel punto, si pensa subito al tiro successivo.
Ma sappiamo che l’avventura a Rio non era iniziata benissimo...
(Scoppia a ridere) - No, in effetti direi proprio di no. Appena arrivato mi sono capitate ben due forature. Una cosa mai successa prima. Devo dire che, visto come sono andate le cose, mi hanno portato bene.
Un motto?
Non mollare mai. È una cosa che ci portiamo dentro, noi in carrozzella, di fronte alle difficoltà.
Più alpino di così! Gli amici lo reclamano e noi lo lasciamo a godersi la festa in suo onore: taglio della torta, regali e qualche autografo. Giorgio Sonzogni, vice Presidente nazionale, gli consegna il crest dell’Ana mentre Remo Facchinetti, vice Presidente Area 4 della Sezione di Bergamo, gli dona la medaglia commemorativa del 95º e il guidoncino sezionale.
«È una bella figura, una bella persona – aveva spiegato poc’anzi Gianluigi Marcassoli, sindaco di Gorlago – con la quale voglio complimentarmi non solo per i meriti sportivi ma soprattutto per le scelte di vita. Tanti giovani perdono il senso della vita; dovrebbero invece guardare ad Alberto come esempio». E gli consegna un diploma di riconoscimento speciale. Altro dono Alberto l’ha ricevuto dal suo Capogruppo di Gorlago, Epis, il quale dopo averne elogiato lo spirito e le prestazioni sportive, gli ha donato un trofeo con l’inequivocabile motto “Ad excelsa tendo”.
Daniele Bernabei comunicazione@anabergamo.it
09/12/2016
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