Ricostruire la memoria

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    Nella Sala Crociera Alta dell’Università Statale di Milano, si è tenuta la seconda delle cinque conferenze organizzate dall’Associazione Nazionale Alpini in collaborazione con i maggiori storici italiani, per dare un contributo scientifico agli studi sui principali fatti d’arme della Grande Guerra, partendo proprio dal mito degli alpini. Il ciclo di conferenze raccolte sotto il titolo “Su le nude rocce sui perenni ghiacciai… dalla storia al mito. Gli Alpini nella Grande Guerra” quest’anno ha affrontato la guerra d’alta quota e, nello specifico, “La Guerra Bianca sui ghiacciai dell’Adamello”.

     

    Al tavolo dei relatori per questa edizione, Gianni Oliva e Nicola Labanca moderatore Massimo Bernardini che ha aperto la conferenza sottolineando l’obiettivo ambizioso di questi incontri che va via via realizzandosi: «Ricostruire la memoria attraverso dei simboli, come il tricolore, come l’Adamello che divengono valori cardine per ricostruire la memoria e trasmetterla ai nostri figli». Un viaggio nella storia ha sottolineato il presidente nazionale dell’Ana Sebastiano Favero «che cerchiamo di promuovere anche nelle scuole anche con il progetto “Il Milite non più ignoto”.

    Partendo dai nomi riportati sui monumenti ai Caduti dei singoli paesi, i giovani alunni attraverso una ricerca negli archivi, riporteranno alla luce il contesto umano, storico e culturale che ha caratterizzato quel periodo e, cosa più importante, comprenderanno che dietro a quei nomi c’erano ragazzi della loro età o poco più, con dei progetti, dei sogni e tanta voglia di vivere». Ad aprire il convegno è Gianni Oliva che ricorda come la Grande Guerra fu un massacro, ma non solo.

    Fu in trincea che si cominciò a parlare l’italiano superando le forme dialettali e proprio in quegli anni nacque la cittadinanza italiana. E sottolinea come «dietro alle ultime parole del bollettino firmato Diaz del 4 novembre 1918 “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza” per la prima volta ci fosse un popolo, una nazione». Un breve intervento fuori programma, anche del comandante delle Truppe Alpine Federico Bonato sulle strategie militari che mutavano a seconda dei campi di battaglia: in Adamello erano esigue compagnie di uomini ad andare all’attacco al contrario sull’Ortigara vennero impiegati oltre venti battaglioni alpini.

    È l’ardimento del singolo, il coraggio personale ad emergere ed ad essere ricordato nei combattimenti d’alta quota e in relazione a queste considerazioni il professor Nicola Labanca, direttore del Centro interuniversitario di studi storico militari che ha patrocinato il ciclo di conferenze, ha offerto una nuova chiave di lettura della Guerra Bianca: «potremmo parlare di quattro Adamelli perché nei quattro anni di guerra cambiarono le condizioni ambientali, i piani strategici dell’esercito italiano e di quello avversario.

    Solo analizzando queste diversità, a cento anni di distanza, saremo in grado di comprendere i fatti d’arme e la vita sulle alte quote» e continua «non dobbiamo poi dimenticare i fucilati, penso ai quattro alpini di Cercivento. È un dovere morale, ma non solo. Come accademici siamo chiamati a riconsegnare alle giovani generazioni, la storia nella sua interezza senza alcuna omissione oltre i miti della memoria ufficiale». Tra il 1914 e il 1918 morirono 650mila uomini.

    L’Associazione Nazionale Alpini promuoverà altre tre conferenze, una all’anno fino al 2019 quando celebrerà il suo centenario di fondazione. Ricostruire la memoria, dunque, per conferire idealmente un’identità a tanti piccoli uomini sconosciuti, più veri e più grandi dei Grandi.