Ricordi di famiglia

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    È lì tra i ricordi più nitidi della mente, dove si concentra la forza visiva. Basta chiudere gli occhi e riappare con i suoi contorni irregolari. Una tavolozza di colori dall’oro al rosa s’alternano sulla lunga cresta che dalla Forcella Staunies, cala rapidamente tra mughi e lariceti della Val Padeon. Il Gruppo dolomitico del Cristallo abbraccia Cortina e pare immacolato. Sono invece numerosissimi gli alpinisti che lo percorrono in sicurezza, grazie alle vie ferrate, agli aerei percorsi su esigue cenge che tagliano le crode, oltre la quota degli alberi.

     

    Lì, ancora oggi, si cammina tra resti di baracche e ricoveri in caverna della prima guerra mondiale. Nei primi mesi del 1915, il maggiore Carlo Buffa di Perrero, di nobile stirpe, comandava il battaglione Cadore. Due volte ferito, sempre accanto ai suoi alpini, venne decorato con una medaglia d’argento. Le belle immagini d’epoca e la sua grafia rigorosa, dai tagli ascendenti, rimandano a un uomo che altro non poteva essere nella vita se non un signor comandante. Alto, magro, le spalle quadre e aperte, lo sguardo consapevole che punta lontano. I baffi umbertini nascondono un sorriso appena accennato.

    La discendenza dall’antica nobiltà sabauda si rivela nel portamento fiero proprio di colui che affronta il destino a viso aperto, senza chiedere sconti. Era nato a Torino il 20 dicembre 1867 e rimasto orfano da bambino del padre Vincenzo, venne avviato alla carriera militare. «Mio nonno Carlo morì il 4 novembre 1916 sul Carso, colpito da una granata ».

    Dall’altro capo del telefono c’è Carlo che del nonno, oltre al nome, ha ereditato il titolo di alpino… duramente guadagnato sul campo, prima alla Scuola Militare di Aosta, fabbrica di grandi uomini, nel 62º corso Auc e poi come tenente al battaglione Susa. Una famiglia piemontese che da sempre guarda alle montagne perché formative nel corpo e nello spirito. «Il mio bisnonno Vincenzo fu tra i fondatori, insieme a Quintino Sella, del Club Alpino Italiano.

    Lui ed altri alpinisti in cordata nel 1877, portarono sulla vetta del Monviso una Madonnina alta un metro scolpita in un ciocco di larice. Poi, a sessant’anni di distanza, poco prima della seconda guerra mondiale, mio padre Ermanno allora direttore generale del Cai, durante un’escursione prese con sé la Madonnina, danneggiata dalle intemperie, e la portò nel locale invernale del rifugio Quintino Sella in attesa di trasferirla al Museo Nazionale della Montagna di Torino dove sarebbe rimasta come un pezzo della storia del Re di Pietra. Ma al Museo non arrivò mai. Alcuni militari di passaggio la scambiarono forse per legna da ardere e la bruciarono».

    I ricordi del bisnonno Vincenzo, del nonno Carlo eroe alpino medaglia d’oro sul Carso, del padre Ermanno esonerato dalla naja perché orfano di guerra sono Carlo Buffa di Perrero, tenente del btg. Susa, durante l’orazione nel cimitero di Cavour, accanto alla tomba di famiglia, in occasione della cerimonia per il centenario dalla morte del nonno Carlo Buffa di Perrero: Encomio solenne in Libia, MAVM sul Cristallo e MOVM sul Carso, caduto a Castagnevizza il 5 novembre 1916. tanti, alcuni vissuti in prima persona, altri preziosa eredità familiare.

    Carlo ne parla volentieri ed emerge chiaro come la nobiltà dei Buffa più che ai salotti buoni e alle feste di palazzo rimandi alle montagne, alla neve, ai deserti rocciosi. Non c’è testimonianza più duratura della montagna. Essa non cancella, ma conserva e rimette quanto accaduto nei boschi e sulle cime nelle mani di chi le si avvicina con consapevolezza e conoscenza.

    Archiviata la naja perché considerata roba d’altri tempi, non ci restano che le terre alte e la grande famiglia alpina. E la montagna del comandante Buffa di Perrero e dei suoi uomini, con quel grande canalone e la Croda Rossa davanti. E la sua baracca, incastonata come una pietra preziosa nella roccia rosea. Finalmente in pace.

    Mariolina Cattaneo
    lalpino@ana.it