Quegli alpini di leva dell'Albatros

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    Ricordata a torino la missione umanitaria brillantemente condotta in Mozambico.

    DI ADRIANO ROCCI

    Allora, li riunimmo nei cinema delle nostre caserme, spiegando motivazioni e finalità della missione internazionale o­nUMOZ (United Nations Mozambique) ed illustrando il compito che era stato affidato al contingente italiano Albatros: creare le condizioni di sicurezza atte a garantire una regolare distribuzione degli aiuti umanitari, l’attuazione di un programma di assistenza economica, lo sviluppo della riconciliazione politica e sociale, lo svolgimento di libere elezioni. In ossequio alle precise disposizioni che avevamo ricevuto dal Governo, domandammo quindi ai ragazzi se, di loro spontanea volontà, desiderassero non prendere parte alla missione in Mozambico.

    Pochi degli interpellati si tirarono indietro. La risposta che ricevemmo, infatti, andò assolutamente oltre ogni nostra aspettativa. Gli alpini di leva della Taurinense risposero in massa all’appello, con un entusiasmo, una disponibilità ed una motivazione totali. In quel momento può essere idealmente collocato il primo passo, naturale e senza traumi, che portava dalla coscrizione obbligatoria al servizio militare volontario. Si apriva in questo modo la strada verso il professionale .

    Il generale di brigata Claudio Graziano, all’epoca comandante del battaglione Susa ed oggi della Taurinense, ha sintetizzato così, lo scorso 11 febbraio, nell’affollato Salone dei Duecento della Sezione ANA di Torino, il momento chiave che dodici anni fa consentì di dare il via all’intervento umanitario italiano in Mozambico, nell’ambito della missione di peacekeeping che le Nazioni Unite avevano promosso (risoluzioni 782 e 797) a seguito degli accordi di pace firmati a Roma il 4 ottobre 1992, sotto l’egida della Comunità di Sant’Egidio, tra il Governo locale e i combattenti della Resistenza Nazionale Mozambicana (RENAMO).

    In sala erano presenti numerosi ospiti qualificati, a cominciare dal generale di corpo d’armata Carlo Cabigiosu che, nel corso della serata, ha preso la parola per rispondere ai quesiti del pubblico con alcune efficaci precisazioni.
    Il Paese, ha ancora ricordato il gen. Graziano, devastato da una guerra di liberazione poi degenerata in conflitto civile tra FRELIMO (Fonte di Liberazione Mozambicano, marxista, nel frattempo giunto al potere) e RENAMO, di tendenza opposta, nel 1993 contava oltre un milione di morti, un milione e settecentomila profughi, quattro milioni di sfollati.

    In virtù della sua adesione all’intervento o­nU nell’ex colonia portoghese dell’Africa Australe, il nostro Esercito si affrancò definitivamente dalle pastoie impostegli da una guerra perduta quattro decenni prima. Durante i tredici mesi della missione Albatros (marzo 1993 aprile 1994), il contributo degli alpini italiani (milletrenta uomini che si avvicendavano ogni tre mesi) non si limitò alla Taurinense del gen. Luigi Fontana, che sul famoso e strategico corridoio di Beira , dall’Oceano Indiano al confine dello Zimbabwe (ex Rhodesia), dispiegò accanto al Susa anche il battaglione logistico ed il reparto di sanità aviotrasportato, supportati da un gruppo squadroni elicotteri, ma vide, nella seconda parte della missione, l’intervento della brigata alpina Julia, comandata dal gen. Silvio Mazzaroli.

    Con quello stile tutto italiano che fa la differenza , le Penne Nere scortarono sistematicamente i convogli ferroviari sulla linea Beira Machipanda, pattugliarono l’oleodotto che rifornisce lo Zimbabwe presidiandone le stazioni di pompaggio, disarmarono i facinorosi più irriducibili distruggendone le armi e monitorarono il ritiro dei mercenari stranieri, favorendo infine la smobilitazione di quasi novantaduemila combattenti. A conclusione della missione, dopo le elezioni dell’ottobre 1994, quasi quattro milioni e mezzo di profughi erano ritornati spontaneamente alle loro sedi abituali e il Mozambico, pur fra mille difficoltà, ricominciava a vivere.