Quando giungemmo in vista di Nikolajewka

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    Inverno, primavera, estate, autunno: stagioni del tempo, stagioni dell’anima e di ricordi. Il profondo silenzio della neve che imbianca il bosco, il ruscello che si sveglia sotto la coltre gelata, l’urogallo che lancia i suoi richiami d’amore, il profumo del fieno essiccato dal sole dell’estate e la varietà dei colori che l’autunno regala alla montagna, struggente saluto aspettando l’inverno.

    E, fra le pagine, la guerra: la Grande Guerra e poi la seconda ( fu orribile quell’inverno del 1943 tra le montagne della Bosnia: la fame, il freddo, la crudeltà della guerra rendevano amarissima la vita ) e il Lager 12/A, circondato da reticolati e dalla neve La lettura ci prende per mano e ci conduce per prati fioriti, ad ascoltare i rumori del bosco e nei paesi del tempo che fu, quando gli uomini andavano lontano a lavorare per poter svernare in famiglia.

    Ma anche lungo il sentiero della vita, per scoprirne le meraviglie e i misteri. Stagioni è il titolo del bel libro di Mario Rigoni Stern, edito a fine anno da Einaudi, del quale riportiamo alcune pagine per gentile concessione dell’editore. Siamo in Russia, sulle rive del Don, nell’inverno 1942/’43.


    Le operazioni contro di noi ebbero inizio all’alba dell’11 dicembre con azioni di logoramento nel settore tenuto dalle Divisioni Cosseria, Ravenna e Pasubio; erano attacchi condotti con insistenza da reparti della 44a e 38a Divisione Guardie. Nei giorni 13, 14 e 15 i battaglioni russi continuarono ad attaccare accerchiando alcuni capisaldi. Furono contenuti ma non battuti e avevano posto le premesse per la battaglia di rottura. In questi frangenti veniva minacciato d’accerchiamento da sud il Corpo d’Armata alpino e il giorno 14 il battaglione sciatori Monte Cervino raggiunse le paludi gelate del Kalitva dove si schierò con l’89º fanteria della Cosseria.

    I combattimenti si estesero sul fianco destro della Cuneense dove era in linea il battaglione Saluzzo. La Divisione Julia, che era tra Bassovka e Semeiki, il giorno 17 riceve l’ordine di portarsi a sud per fronteggiare la grave situazione. Il Pieve di Teco, il Morbegno e il Vestone che erano in secondo scaglione e i reparti della Divisione Vicenza che erano di presidio e senza armi d’accompagnamento, in una notte di neve e di intenso freddo si mettono in movimento per sostituire la Julia.

    Il cambio in linea avviene nelle prime ore della notte del 18 dicembre. La vera e propria battaglia di rottura e annientamento era iniziata all’alba del 16 dicembre. Incominciarono a sparare oltre duemila cannoni, i lanciarazzi multipli katiuscia e i più pesanti vaniusci da 300 mm; carri armati pesanti, medi e leggeri, battaglioni e battaglioni di guardie delle Armate 1a e 6a attaccarono il fronte tenuto dal II Corpo d’Armata italiano.

    Il primo giorno avanzarono per pochi chilometri; accaniti combattimenti proseguirono il 17 e il 18; il giorno 19 per la breccia aperta dilagarono per venti chilometri verso ovest raggiungendo Novaia Kalitva; poi verso sud est. Il giorno 19 giunsero a Kantamirovka interrompendo la ferrovia Rossosch Millerovo. I mezzi corazzati dell’Armata Rossa dilagarono ancora più profondamente verso sud est contro l’ala meridionale dell’ARMIR che nel contempo era stata attaccata frontalmente su tutta la linea del Don.

    Il giorno 19 il generale Gariboldi emanava l’ordine di ripiegamento dopo che tutte le forze disponibili erano state gettate nella battaglia, compresi pontieri e ferrovieri usati come fanteria. Fu grandissima la tragedia che seguì: dopo i combattimenti sulle rive del Don fronteggiati con grande impegno e tante perdite, i reparti in movimento, dissanguati dalla battaglia difensiva, in precarie condizioni di equipaggiamento, privi di artiglieria e di protezione aerea, con i congelati e i feriti che ancora potevano camminare, abbandonando gli altri negli ospedali, si trovarono ad affrontare scontri nell’inverno russo tra bufere di neve e temperature che raggiungevano i 30º.

    Il giorno 19, a Kantamirovka, dove confusamente erano retrocessi numerosi reparti disorganizzati, i carri armati russi che si erano messi a osservare quel brulichio di uomini, automezzi, treni in partenza, vennero scambiati per tedeschi: ma poi aprirono il fuoco con cannoni e mitragliatrici provocando sorpresa, disorientamento e panico tra la grande massa che si sbandava cercando disperata salvezza.

    Quello stesso pomeriggio due attacchi di carri armati al comando della Divisione Celere distrussero tutto quanto si trovava: ospedali da campo, sussistenza, munizioni, automezzi e carburanti. Le unità dell’ARMIR che erano in ritirata formarono due blocchi: verso sud e verso nord. Alla vigilia di Natale il freddo era sceso a 40º. A Certkovo venne formato un caposaldo di resistenza che fu subito accerchiato. 14.000 erano gli assediati, la metà tedeschi; pochi quelli che ancora avevano un’arma, scarse le munizioni; molti erano i feriti e i congelati. Resistettero così fino al 15 gennaio quando si aprirono un varco verso un reparto corazzato tedesco che veniva in soccorso.

    I feriti e i congelati e tutti quelli che non potevano camminare, circa un migliaio, vennero abbandonati sul posto. I superstiti delle Divisioni Torino e Pasubio, nuclei della Ravenna e della Celere, truppe e servizi del XXXV Corpo d’Armata, poche migliaia di persone, alla sera del 22 gennaio raggiunsero Belovodsk, dove i feriti e i congelati furono avviati con le autoambulanze verso gli ospedali di Voroscilovgrad e Kupjansk. Intanto che succedeva questo tra il 19 dicembre e il 17 gennaio 1942, sul fianco destro del Corpo d’Armata Alpino, in una piatta steppa senza ripari, gli attacchi dei russi vengono affrontati dagli alpini della Julia, dai battaglioni Saluzzo e Cervino, dai resti di un Corpo corazzato tedesco che aveva a disposizione pochi semoventi.

    Il 13 gennaio era iniziata l’operazione Ostrogozsk Rossosch: una manovra a tenaglia dei russi che partendo da nord e da sud avrebbe dovuto annientare il Corpo d’Armata Alpino e parte della 3ª Armata ungherese. Il 14 gennaio, da una breccia aperta nel settore tenuto dagli ungheresi, i carri russi dilagano per dodici chilometri, lasciando così scoperto il fianco sinistro del Corpo d’Armata Alpino. L’Armata ungherese praticamente si disperde.

    Si suicida il generale tedesco che aveva preso il comando delle residue forze tedesche e il 15 gennaio, verso le quattro del mattino, una ventina di carri russi raggiunge Rossosch, sede del comando del nostro Corpo d’Armata. Lo stesso giorno il generale Gariboldi insiste presso il comando del Gruppo Armate B per ottenere l’ordine di ripiegamento degli alpini. La risposta viene da Hitler: Nein!

    Nei giorni 15 e 16 sono respinti gli attacchi sferrati dalle fanterie mosse contro i capisaldi tenuti sul Don dalle compagnie del Vestone e dell’Edolo, alle ore 11 del 17 gennaio, quando i carri armati russi avevano già chiuso il cerchio da nord e da sud occupando Karpenkovo e Postojalyi, giunge al comando del Corpo d’Armata Alpino l’ordine di ripiegare. Il messaggio chiude con le parole: Iddio sia con voi! Quella notte che lasciammo la linea nevicava. Poi vennero tormenta e molto freddo La bufera si prese i nostri primi morti, dopo giorni e notti di marce e combattimenti, il 26 gennaio giungemmo in vista di Nikolajevka.

    I resti del Vestone, del Valchiese, del Verona in quella mattina partono all’attacco per aprire la porta verso l’Italia. Prima di sera giunse anche l’Edolo e scese a valanga la marea degli sbandati. In Italia nessuno sapeva o parlava della nostra sorte: 74.800 soldati italiani non ritornarono e di questi 33.120 erano alpini. Ora laggiù, e in tanti villaggi delle Alpi, solo neve e silenzio.

    (tratto da Stagioni di Mario Rigoni Stern Edizioni Einaudi, pagg.143 euro 10,80)