Penne nere d’Europa

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    Penne nere d’Europa Perfino il cielo, sopra Marcinelle, sembrava compiaciuto nel vedere le penne nere d’Europa radunate nei pressi della tristemente famosa miniera. Un sole che filtrava nell’aria tersa, come raramente si vede nelle uggiose giornate di quelle parti, sembrava avallare la bontà di una iniziativa che rendeva onore ai morti, mentre celebrava la dignità di un popolo di emigranti, orgogliosamente fieri della loro Patria di origine e del cappello indossato al suo servizio. 

     

    In quel lembo di Vallonia, gli alpini delle Sezioni Belgio, Francia, Svizzera, Germania, Lussemburgo e Danubiana si sono dati appuntamento per il primo raduno europeo, lo scorso 3 e 4 ottobre, a dieci anni giusti dalla deposizione di una lapide che ricordava i minatori caduti sul lavoro. Duecentosessantadue per l’esattezza, di cui 136 italiani e, di questi, 56 alpini. Una storia, quella degli italiani in Belgio, fiorita da una speranza e terminata sul Calvario.

    Era il 1946 quando il Governo italiano aveva stretto un patto con quello belga. Lassù, nelle terre della Vallonia, nel cui ventre si custodiva tanto carbone, c’era bisogno di mano d’opera. L’Italia, appena uscita dalla guerra, aveva due milioni di disoccupati. Al Belgio servivano almeno duemila persone a settimana per estrarre il prezioso materiale. E così, mentre Roma mandava braccia nelle miniere, Bruxelles inviava duecento chili di carbone per ogni minatore arrivato. Si partì da una speranza, da parte di tante famiglie, quella di crearsi un futuro migliore garantendo un boccone di pane ai propri figli. Ma fu una speranza che sfiorì presto.

    Il Calvario, al contrario, fece sentire da subito la sua morsa. A partire da una mancata integrazione con la popolazione locale. Ci volle la morte di tanti innocenti, laggiù nel ventre della terra, per far capire alla gente del luogo il valore di quegli stranieri dalla faccia e le mani neri di caligine. Il punto culmine di questo cambio di sentire fu soprattutto 1’8 agosto del 1956, quando l’errore umano di chi manovrava gli ascensori fece scoppiare un incendio, che diede fuoco a quintali di olio in polvere e alle strutture in legno che sorreggevano le gallerie e i cunicoli a oltre un km dalla superficie. Intrappolati come topi, morirono tutti consegnando a lame di fuoco e fumi rabbiosi le speranze di una vita e il destino delle loro famiglie.

    Da allora, come a partire da un crinale che divide la storia, gli italiani non sarebbero più stati gli ospiti mal tollerati e il loro valore si sarebbe imposto oltre i confini del pregiudizio e dell’ostilità preconcetta. Non solo in Belgio, ma trasversalmente in tutti i Paesi d’Europa, fino a mostrare un’Italia in filigrana, grazie ai suoi cantori, capaci di raccontare le radici della propria terra di origine, comprese quelle della tradizione alpina che portano nel Dna del cappello con la penna. Marcinelle li ha visti questi alpini.

    Li ha visti sfilare dentro le strade silenziose e un po’ cupe, delle sue case di mattoni. Una scenografia piena di colore e guizzi di vita, capace di far aprire usci avvezzi all’indifferenza. Un garrire di bandiere italiane, di vessilli, di colorati costumi, uniti nel denominatore comune di quell’originale cappello, quasi a risvegliare un senso di appartenenza, di voglia di partecipare al gioco, trascinando dentro gli animi sonnecchianti di chi non è abituato alle nostre liturgie. Questo erano e sono gli alpini d’Europa, con gli alpini d’Italia che non hanno mai perso di vista i loro amici d’Oltralpe, uniti nella comune memoria per i propri Caduti e le proprie origini, quella che il Coro Ana dell’Orobica ha celebrato nel canto, sciogliendo gli occhi e il cuore di chi ascoltava.

    Bruno Fasani