Parole per il Centenario

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    Il 18° Convegno Itinerante della Stampa Alpina si è svolto nella bella Marostica, appena dopo il “Convegno sul centenario Grande Guerra”, organizzato dal Centro Studi ANA. Per dare continuità d’intenti e ulteriore sviluppo agli argomenti trattati il tema del CISA è stato: “Comunicare il centenario”. La formula del convegno ricalca quella ben riuscita delle ultime due edizioni, con lo svolgimento di relazioni sul tema proposto e la successiva discussione in gruppi distinti, in modo da sviluppare un confronto più libero.

    Aprendo i lavori, a cui hanno partecipato i responsabili di 62 testate sezionali e 6 di Gruppo, il direttore de L’Alpino Bruno Fasani ha spiegato il senso dell’incontro, destinato a capire in che modo la stampa alpina possa raccontare la Grande Guerra: “C’è la moda di uno storicismo esasperato; noi dobbiamo andare sull’essenziale della storia per raccontarla bene, senza sconfinare nel personalismo e nel sentimentalismo. È importante far ciò perché i nostri giornali devono diventare appetibili anche ai non alpini”.

    Il compito di sviluppare gli argomenti è stato assegnato a due relatori d’eccezione: Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, fresco vincitore del premio “Giornalista dell’anno 2013” assegnato dall’ANA e l’alpino Paolo Ferrario, giornalista di Avvenire e direttore di Penna Nera delle Grigne, periodico della sezione di Lecco. Nell’ultimo anno Rumiz ha ripercorso il fronte italo-austriaco compiendo un grande lavoro storico e giornalistico, pubblicato su La Repubblica, confluito nel film documentario L’albero tra le trincee di Alessandro Scillitani.

    Rumiz ha visitato i luoghi della memoria e della nostra storia, osservandoli con l’occhio del giornalista e sentendoli con il cuore del poeta, del curioso e dell’innamorato. “Sono triestino – ha esordito – e sono uno dei montanari di mare, tra i pochi che vanno in barca e cantano canzoni di montagna. Nel viaggio sui luoghi della Grande Guerra ho avuto l’animo anfibio e l’ho affrontato con il cuore europeo, ancor prima che italiano, nel senso che ho avuto un papà generale dell’Esercito Italiano reduce della secondda guerra mondiale, ho uno zio irredentista che è stato sindaco di Trieste e un nonno che è stato soldato dell’esercito austriaco e ha combattuto in Galizia. A Trieste noi parliamo dei nostri soldati, ma non si capisce se siano dell’una o dell’altra parte. Quando si va negli altri fronti della guerra si comprende che la trincea più che dividere ha unito gli eserciti. La guerra di posizione ha fatto sì che i ragazzi si fiutassero, si parlassero e si sentissero partecipi della stessa tragedia. L’Europa è nata in quelle trincee”.

    Rumiz ha parlato della sua esperienza di viaggio, di cui ha portato le immagini di pietra e delle quote: “Sotto l’Ortigara ho dormito in una vecchia piazzola da mortaio con la tenda: ritrovarmi in alta montagna sotto il diluvio mentre il vento ti strattona mi ha fatto percepire solo un piccolo assaggio di quanto vissero i nostri soldati”. Un’immagine questa che ci aiuta a visualizzare più facilmente la formula che secondo il giornalista è importante saper trasmettere soprattutto ai giovani: “È urgente rispondere al patrimonio, sopito nelle memorie di tanti, con una carica emozionale e non solo commemorativa o di comprensione. Non basta quindi capire, occorre mettersi nei panni dei giovani d’allora”.

    Per parlare ai giovani di oggi occorre quindi riprodurre delle situazioni emozionali forti che si possono vivere solo sui luoghi in cui queste sono accadute: “Sono stato in una postazione sulla cima del Col Gallina con dei ragazzi – prosegue Rumiz – e il custode ha letto alcune lettere alla sola luce della lampadina frontale. Non avete idea del silenzio che si è creato nei ragazzi che sono entrati in una dimensione diversa e hanno iniziato quasi a dialogare con chi non c’era più”.

    La fatica è poi un elemento fondamentale per mandare a memoria le cose perché “le stesse lette con facilità su internet vengono altrettanto facilmente dimenticate. Ho proposto al sindaco di Gemona di fare un bando tra le scuole superiori di tutta Italia e selezionare dei giovani per vivere un’esperienza come se fossero soldati della Grande Guerra: fare tre giorni di strada ferrata e altri due di lungo cammino, poi acquartierarsi e ricevere le storie di quanto è accaduto allora”. Insomma, una cosa è ascoltare un racconto, altra cosa è viverlo. Le parole sulla Grande Guerra intercettate passivamente possono facilmente evaporare in tanti giovani, ma vivere un’esperienza sulla propria pelle fa nascere interrogativi, curiosità e un’esigenza di comprensione.

    Nel suo intervento Paolo Ferrario ha spiegato “come rendere appetibili le notizie sui giornali senza farli diventare dei libri di storia”. Per raccontare la Grande Guerra chi scrive deve avere il fiuto dell’investigatore nel recuperare storie nascoste e saper trasferire le emozioni che queste trasmettono. Occorre “andare a trovare la gente comune, ad esempio gli abitanti degli altipiani dove la guerra è stata combattuta, per farsi raccontare e creare una sorta di narrazione”. Ferrario porta ad esempio il toccante lavoro di Ermanno Olmi nel film Torneranno i prati, in cui il regista, per raccontare la storia, si è lasciato ispirare dal vissuto della popolazione di Asiago. Oltre che nelle parole, la storia è negli oggetti: lettere, documenti, divise e cimeli sono importanti da “recuperare in modo che possano far parte di mostre ed essere presentati nelle scuole”.

    Le migliaia di soldati al fronte avevano necessità di comunicare: si stima che siano 4miliardi le lettere spedite dagli italiani e 30miliardi quelle in tutta Europa. Un enorme bagaglio di informazioni e di vita si cela quindi nelle cassepanche e nelle soffitte delle case, nei registri delle parrocchie e nei granai di tutto il Vecchio Continente. “E in nessun libro di storia – ricorda Ferrario – si leggono le parole di chi ha vissuto i fatti della guerra. Attraverso le lettere, gli occhi e la voce della gente del paese è possibile scrivere e raccontare storie, ma anche realizzare mostre.

    Molti di questi scritti sembrano addirittura la trama di un film o di spettacolo teatrale che potrebbe essere rappresentato nei paesi in collaborazione con la filodrammatica locale. Sarebbe una ricchezza incredibile da raccontare”. Tanti Gruppi e Sezioni hanno un coro e anche le cante, soprattutto quelle meno conosciute, molte delle quali sono state scritte nelle trincee della Grande Guerra, sono fondamentali per trasmettere lo spirito del messaggio, perché toccano il cuore e sono importanti per la cristallizzazione della memoria. Giornali e riviste della stampa alpina possono poi ospitare delle ricerche inedite e diventare fonte di informazione. E propone al riguardo una bella frase dello storico Alessandro Gualtieri: “Sono certo che la pazienza e l’acutezza degli alpini sapranno aggiungere delle pagine di storia minore ma non per questo meno importanti”.

    Ultima, non meno rilevante, è la tutela dei luoghi della Grande Guerra. “Essi sono dei libri a cielo aperto. Occorre iniziare un grande cantiere di recupero a beneficio della memoria collettiva. Attraverso i giornali si potrebbero avviare campagne di sensibilizzazione delle istituzioni locali in modo che collaborino per la tutela di questo patrimonio”. E Ferrario propone che tutte le Sezioni adottino un luogo della Grande Guerra perché diventi luogo della memoria.

    I due relatori hanno quindi diretto i gruppi di lavoro dove gli argomenti sono stati sviluppati e il giorno seguente sono stati condivisi tra i convegnisti grazie alle relazioni del presidente della sezione di Cividale Pierluigi Parpinel per il gruppo di Rumiz, e del giornalista alpino Dino Bridda per il gruppo di Ferrario. Riportando ottimamente le tante sfaccettature di una discussione articolata, Parpinel ha sottolineato che nel lavoro di gruppo, moderato dal vice presidente dell’ANA Adriano Crugnola, “Rumiz ha dato il compito di far emergere il patrimonio emozionale, per dare aria alla memoria del centenario della Grande Guerra”. “Sacrificio, senso del dovere, anelito di libertà, orrore e tragedia della guerra sono le parole dalle quali scaturiscono le emozioni che dobbiamo trasmettere”. Qualcuno ha obiettato dicendo che “questo lavoro sulla stampa alpina lo facciamo da anni!”.

    È però importante continuare su questa strada e “farlo meglio perché lo scopo è quello di incontrare i giovani per dare forza all’idea di pace, un sentimento che diamo spesso per scontato. In realtà “la pace è precaria e quindi dobbiamo darle forza, comunicando nel nostro territorio e diventando dei leader”. “Non è facile essere leader, ma potremmo essere come dei buoni padri” hanno ribattuto altri, non “rincorrendo le polemiche” ed evitando di “nascondere le contraddizioni della guerra (ad es. quelle trentine o quelle giuliane a Trieste)”. Senza dimenticare di parlare negli articoli dell’importanza dei civili, delle donne e delle famiglie. Concludendo, Parpinel ha proposto di andare nelle scuole, portare i giornali alpini e riservarne uno spazio per far scrivere i giovani.

    “Ci sono alcuni elementi comuni ai due gruppi”, ha esordito Bridda nella sua esposizione. Per raccontare la Grande Guerra nel gruppo diretto da Ferrario sono state individuate tre direttrici che permettono di lavorare su materiali inediti: “La lettura dei nomi sui monumenti, in modo da risalire alle storie dei Caduti; reperire del materiale documentale nelle cassepanche e nelle soffitte delle case; leggere i fogli matricolari e altri documenti reperibili negli archivi di Stato”. “Occorre anche lavorare sui giovani e aprire le pagine dei giornali ad un concorso o a delle borse di studio che li vedano protagonisti. Senza scordare di coinvolgere le sovrintendenze e i Beni culturali, interessati a mappare e codificare cippi e monumenti”. “Se non facciamo tutto questo lavoro noi alpini, chi lo farà?” si domanda Bridda, auspicando un grande impegno nei prossimi quattro anni, in modo da riscoprire un ulteriore elemento a rinforzo dei valori della nostra comunità.

    Il CISA è stato anche un bellissimo incontro tra le tante realtà della nostra Associazione, a partire dall’accorato intervento del presidente emerito Corrado Perona che ha richiamato l’attenzione sul “centenario della Grande Guerra che si collega al centenario dell’ANA e al futuro associativo. Dovremo fare sacrifici e qualcosa cambierà, purché non cambi il servizio alla nostra Patria e il rispetto verso i nostri morti. Noi non cerchiamo numeri, cerchiamo l’anima e il cuore di quanti entreranno nella nostra Associazione. Solo così potremmo portare rispetto ai nostri Padri. Anche queste cose bisognerà scriverle sui nostri giornali”.

    Il gen. Alberto Primicerj ha ringraziato gli addetti stampa che hanno seguito i lavori del convegno: il col. Enrico Mattina per il Comando Truppe alpine e gli ufficiali della Taurinense e della Julia, ten. col. Mario Renna e il capitano Mario Francavilla. Ha chiesto di mantenere viva, sulla stampa alpina, l’attenzione ad argomenti quali “l’addestramento in montagna, per far capire la necessità di avere unità di fanteria leggera come le Truppe alpine che sono l’essenza dell’impegno futuro; dare risalto alla multinazionalità crescente nelle attività delle brigate ed evidenziare le capacità degli alpini in armi nelle emergenze di protezione civile e nello sport”.

    Dopo un breve saluto del presidente della sezione di Marostica Fabio Volpato che con i suoi alpini ha organizzato magnificamente la due giorni di convegno, ha chiuso i lavori il presidente nazionale Sebastiano Favero: “In occasione del centenario dobbiamo affinare la nostra tecnica e trovare il modo per parlare ai ragazzi di 15-25 anni che rappresentano il futuro. Se vogliamo che la memoria continui dobbiamo far sì che i giovani ci ascoltino e trasmettano il nostro sentimento che è quello che parla della nostra storia e del nostro Paese”. E ha concluso: “Noi siamo e saremo sempre per l’Unità d’Italia! Chi non la pensa così non fa parte dell’ANA”.

    Matteo Martin

    PREMIATA LA STAMPA ALPINA

    In occasione del 18° CISA è stato consegnato il “Premio stampa alpina” a Lo Scarpone Valsusino che è stato giudicato dall’apposita commissione come la migliore testata alpina tra le 40 in concorso. A ritirare il premio e il trofeo sono stati i pilastri del giornale Dario Balbo, Elio Garnero e Valerio Olivero. Quest’anno la scelta del vincitore è stata ardua perché in una manciata di punti c’erano pochissimi giornali e quindi la commissione del premio ha deciso di riconoscere la bravura di chi si è piazzato comunque ai vertici, consegnando un riconoscimento al secondo classificato, consegnato ad Achille Gregori per il Baradell, giornale della sezione di Como, mentre il direttore di Fiamme Verdi Antonio Menegon e il presidente della sezione di Conegliano Giuseppe Benedetti hanno ritirato il premio per il terzo posto.

    Una menzione speciale è stata fatta per L’Alpino in Europa, giornale delle sezioni di Belgio, Germania, Lussemburgo, Nordica e Balcanica-Carpatica-Danubiana, diretto da Giovanni Camesasca, che ha ritirato il riconoscimento accompagnato dal segretario di redazione Giorgio Moretto. Consegnando la pergamena il direttore de L’Alpino Bruno Fasani ha spiegato: “L’Alpino in Europa forse non potrà mai ambire a vincere, ma è fatto così bene dal punto di vista dell’impianto e dal punto di vista storico che risulta eccellente e senza rivali sotto molti aspetti. Il suo direttore si cava il pane dalla bocca per farlo. Sei un esempio per tutti!”.

    I RISULTATI DEL QUESTIONARIO

    Sono stati settanta i partecipanti del 18° CISA che hanno dato il loro giudizio sul convegno, sui temi trattati e sull’organizzazione, giudicata buona (il voto medio è di 3,64 su una scala da 1 a 5). La quasi totalità ha dichiarato di essere stata informata sui motivi della partecipazione e sugli obiettivi dell’incontro che sono stati raggiunti per la stragrande maggioranza dei partecipanti (il voto medio è di 3,36). Il 28% ha tratto buoni suggerimenti per migliorare la qualità del lavoro, il 25% conoscenze per l’attività associativa, il 20% suggerimenti per migliorare l’efficacia personale, il 18% motivazione ed entusiasmo, il 9% informazioni utili sulle tecniche metodologiche. Per il 35% dei partecipanti i contenuti del convegno sono stati utili; per il 22% e 18% rispettivamente, applicabili o concreti, per il 17% sono stati solo teorici e l’8% ha segnalato altre motivazioni. Sono dati confermati anche dalla valutazione generale sul risultato del convegno con l’54% che dichiara di portarsi a casa tanto e solo il 9% poco o niente.