Parola di reduce

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    Occhi azzurri, sguardo fiero, sorriso franco. Appena lo si incontra si capisce tutto. Il peso dei 97 anni lo frena nel fisico ma la lucidità, lo spirito e l’eleganza d’un uomo d’altri tempi, quelle l’età non le ha scalfite. Il tenente Luigi Morena, oggi generale di Corpo d’Armata, a Monte Marrone c’era e con i suoi alpini del battaglione “Piemonte” ha concorso a scrivere una delle più importanti pagine della Guerra di Liberazione e della nostra storia. Il corso degli eventi, degno di uno splendido romanzo, inizia quasi un secolo fa in un piccolo borgo di montagna in provincia di Cuneo.

     

    Il 15 agosto 1917 a Scaletta Uzzone si celebrava l’assunzione della Madonna in cielo, ma si festeggiava anche la venuta al mondo di due gemellini: Luigi e Angelo che andavano ad ingrossare la famiglia Morena, accanto al fratello più grande, Secondo. “Eravamo tre fratelli ragionieri – ricorda il gen. Morena – destinati alla vita da commercialista. All’epoca il Regime Fascista consentiva lo svolgimento di corsi premilitari da allievo ufficiale e decisi di provare. Conclusi il corso a Bassano del Grappa e poco dopo, da sottotenente di complemento, mi destinarono al 1° Alpini, btg. Mondovì. Fu lì che mi entusiasmai e contrassi la malattia… alpinite! Nel 1941 mi destinarono al btg. Exilles, al 3° Alpini della Taurinense, di stanza in Val d’Arc, nella Francia occupata. Poi nel marzo 1943 venni trasferito al btg. “Fenestrelle”, a Priepolje, in Montenegro. Nel combattimento della Selletta Kapak, compiuto per consentire al btg. Intra di ripiegare, ebbi il mio battesimo del fuoco.

    Ero con il 1° plotone fucilieri della 28ª compagnia del Fenestrelle e persi in un’unica azione il mio comandante di Compagnia ten. Panizza, quello di battaglione ten. col. Galliano e il sergente maggiore Bella, Medaglia d’Oro al V.M., che cadde a dieci metri da me. Il corso degli eventi si susseguì frenetico. Dopo l’8 settembre 1943 il Fenestrelle con l’Exilles e il Pinerolo furono comandati in rinforzo alla Divisione Emilia e combattei alle Bocche di Cattaro e al Forte Gruda per consentire l’imbarco ai soldati dell’Emilia. Sulle navi, alla fine, ci salimmo pure noi, anche se non ero molto tranquillo perché, da buon montagnino, non sapevo nuotare! Partimmo il 16 settembre 1943 da Zelenika con una carboniera che ci condusse a Bari e da lì fummo trasferiti a Presicce (Lecce), dove si ricostituì il battaglione Taurinense, chiamato successivamente “Piemonte” perché la gran parte degli alpini provenivano da quella Regione.

    Come prendeste Monte Marrone?

    L’occupazione di Monte Marrone è stata una conquista di sorpresa. Siamo partiti alle 3 di notte del 31 marzo 1944. La 1ª compagnia con direttrice al centro, la seconda sulla cresta di sinistra, la terza su quella di destra. La vetta abbondantemente innevata era solamente pattugliata dagli alpini d’alta montagna tedeschi, poiché le condizioni climatiche rendevano proibitivo viverci. Sapendo che le pattuglie si davano il cambio, abbiamo pensato che l’unico modo fosse quello di prenderli di sorpresa perché, diciamolo, una vetta controllata difficilmente si prende con un’azione alla luce del giorno! Avevamo zaini pesantissimi e più silenziosamente possibile siamo saliti. Io ero tenente e mi trovavo direttrice di sinistra. All’alba del 31 marzo ci siamo ritrovati in cresta senza vedere anima viva. È così, senza sparare un solo colpo, che abbiamo occupato la cresta di Monte Marrone! Quando i tedeschi si accorsero della nostra presenza decisero di attaccare tra il 10 e l’11 aprile – era Pasqua e pensavano di trovarci impreparati – con tre battaglioni, per riprendersi la vetta. La difesa da parte degli alpini piemontesi che erano dei veri “Bugia nen” (“non muoverti” in dialetto piemontese), fu tenace, anche grazie alle artiglierie alleate, posizionate sulla Piana del Volturno che batterono il monte con intensità. L’occupazione di Monte Marrone e la sua difesa determinò un cambiamento da parte degli alleati nella considerazione dell’apporto dei soldati italiani nella guerra di liberazione. Fu solo dopo gli eventi di Monte Marrone che i comandi alleati autorizzarono un maggior impulso e organizzazione dei reparti italiani, fino alla costituzione del Corpo di Liberazione.

    E dopo cosa accadde? Come fu sfondata la Linea Gotica?

    Il caposaldo tedesco di quota 363 in Valle Idice era il punto di congiunzione di due Corpi d’Armata tedeschi. Le unità statunitensi che erano schierate dovevano essere mandate in Normandia e quindi hanno approfittato della disponibilità degli alpini del btg. Piemonte per schierarci su quella parte della Linea Gotica, che era quasi interamente occupata da reparti italiani. Gli alpini del btg. Piemonte e del btg. L’Aquila con il btg. Goito dei bersaglieri facevano parte del Reggimento Fanteria Speciale, nel gruppo di combattimento Legnano, comandato dal generale Umberto Utili. Io lo affrontai dando il cambio con il mio plotone a quello statunitense che era a 900 metri dal caposaldo tedesco. Il cambio di linea è un’azione militare tra le più rischiose perché ci sono reparti che arretrano e altri che subentrano e se il nemico si dovesse accorgere può attaccare creando gravi danni. Diciamo anche però che era il 1945 e i tedeschi erano al limite delle loro forze.

    Mi piace ricordare un avvenimento. Al termine di un’azione fui avvertito che c’erano dei soldati tedeschi che issavano bandiera bianca e si dirigevano verso noi alpini che avevamo conquistato la posizione. Normalmente chi conquista la posizione non fa prigionieri, perché deve prevedere un contrattacco. Quindi ero preoccupato, perché noi eravamo le avanguardie e di solito i prigionieri non li facevamo noi, ma i plotoni di rincalzo. Vedendo il folto drappello di tedeschi che avanzavano verso di me, mi sforzai di trovare le parole giuste e urlai: “Kommen Sie!” (venite) invece di dire “Gehen” (andate). E questi avanzavano e io gridavo più forte dicendo “venite” ma intendendo “andatevene”… e andavo loro incontro. Ad un certo momento sento urlare: “Achtung! Minen!”. In pratica mi avevano avvisato che stavo entrando in un campo minato e che rischiavo di saltare in aria… Questo per dire che in combattimento ci sono anche degli episodi di grande umanità e rispetto. Loro si arrendevano e mi avvisarono del pericolo che stavo correndo.

    Quando riuscimmo a creare una breccia sulla Linea Gotica ci fu il cosiddetto sfruttamento del successo che è creato dalle truppe celeri come i bersaglieri che passarono nella breccia creata dal btg. Piemonte e giunsero a Bologna, seguiti dagli alpini. Ricordo che in piazza Grande eravamo portati in trionfo dalla popolazione. Una signora mi avvicina e mi dice: “Tenente posso baciarle le stellette?”. Perché le stellette erano sinonimo di monarchia e lei era stufa di vedere i fasciolini della RSI sulle divise. Fu così che lo sfondamento della Linea Gotica di fatto pose fine alla guerra.

    E per l’azione di “quota 363” si è meritato la Medaglia d’Argento al Valor Militare…

    Le ricompense vanno date in funzione del risultato: la Medaglia d’Argento è stata data a me perché non potevano darla a 40 persone. Sarebbe stato come svalutare il significato di quella medaglia. L’hanno data a uno solo, ma sono anche i miei 40 alpini che l’hanno guadagnata! Tornato dalla guerra, Morena incontrò la famiglia dopo due anni di silenzio, si sposò in Valchiavenna e proseguì la vita militare.

    A distanza di tanti anni cosa ci può dire del Corpo di liberazione?

    Molti sono diventati partigiani per scelta. Se ti dicono devi rimanere con i reparti a queste condizioni e tu non vuoi, per evitare l’arresto hai solo una scelta. Poi, dopo la guerra, alcuni si sono proclamati partigiani anche perché faceva moda. Ricordo che in occasione della commemorazione dei Caduti nella guerra di Liberazione del 2 Novembre al Cimitero Monumentale di Milano, l’allora sindaco Albertini aveva chiesto che si pregasse per i Caduti di entrambe le parti. L’appello del sindaco mi commosse perché trovo giusto pregare anche per i miei compagni alpini del btg. Exilles o Fenestrelle rimasti con la RSI e Caduti per quella Patria che, combinazione vuole, coincideva con la mia. Io mi son trovato dalla parte dei vincitori e gli altri dalla parte sbagliata, ma la Patria era una. Perché dunque non rendere onore a quanti hanno combattuto per la Patria anche dalla parte sbagliata? Poi, davanti alla morte ci si inchina e si perdona, sempre. Scrissi al sindaco, dissi che se non ci sarebbe stato nessun partigiano sarei andato io a rendere omaggio ai Caduti dell’altra parte. E così ho fatto. All’indomani i giornali parlarono di gesto storico, ma quello che non hanno detto è che i partigiani iniziarono ad ignorarmi.

    Ma gli alpini di allora, quelli del suo battesimo di fuoco e quelli che ha comandato alla Smalp dal ’68 al ’71, erano simili per spirito e impegno?

    Certo! L’alpino semplice in fondo non deve imparare granché. L’azione di comando è formale ed è basata sulla disciplina. L’ubbidienza deve essere pronta, immediata e assoluta, come si dice. Deve essere tale perché in combattimento non si ragiona, si ha un’adrenalina che altera tutto perché si odora la morte. E nessuno credo piaccia morire per la Patria, vivere sì per la Patria, ma non morire! Quando arriva l’ordine e mi dicono: “Ten. Morena parta all’attacco!”. Io parto e gli altri mi seguono non solo perché sono comandati, ma anche perché mi vogliono bene. Vedo addirittura qualcuno che mi precede e che devo calmare.

    E quindi dico: vogliate bene ai vostri alpini, perché se voi volete bene ai vostri alpini loro vi considereranno per tutta la vita il loro comandante. Non solo: rispettate la loro personalità, anche perché non debba accadere quello che è successo ad un ten. col. in servizio permanente effettivo che dovendo prendere un provvedimento disciplinare nei confronti di un suo s.ten di complemento che aveva commesso una leggerezza, lo ha convocato nel suo ufficio investendolo in malo modo e dicendogli infine: “Si accomodi, lei è un cretino!”. E l’altro, scattato sull’attenti: “Signorsì… ma di complemento!”. Vogliate bene agli alpini, perché loro ricambieranno. Quando sto con i miei alpini mi sento giovane come loro. Guardate quanti anni son passati, loro sono ancora qui con me e ogni anno festeggiamo insieme il mio compleanno!

    Matteo Martin