Orgogliosi della nostra identità

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    Da molti anni sono amico degli alpini, iscritto al Gruppo di Rubiana, Sezione Val Susa. Le ho già scritto tempo fa segnalando una manifestazione svoltasi al Lingotto di Torino, con la presenza del vostro Presidente, manifestazione che lei gentilmente mi informava che sarebbe stata oggetto di un articolo su L’Alpino. Dopo aver letto l’editoriale di novembre, la cui chiarezza e profondità mi hanno spinto a raccontarle in breve una mia personale esperienza di vita. Nel 1982 sono stato trasferito dalla mia società in Libia e precisamente a Misurata dove ho lavorato come residente per tre anni, con brevi rientri in Italia. 

     

    Ho poi seguito il progetto per altri sette anni con brevi viaggi di ispezione. In questi anni ho lavorato su progetti in Algeria, Iraq, Ghana, Nigeria, Argentina, Brasile e Russia. In tutti questi Paesi (ma in particolare in Libia), noi stranieri osservavamo le regole locali, fra le quali il divieto di professare pubblicamente la nostra religione, di non bere alcolici (che comunque venivano sequestrati alla dogana a coloro che non conoscevano questi divieti, unitamente a salumi, riviste e quant’altro), di non mangiare o bere pubblicamente durante il mese di Ramadan e per chi, come noi stranieri che trascorrevamo dalle 10 alle 12 ore in ufficio, era piuttosto dura sbocconcellare di nascosto qualche panino. La non osservanza di queste regole era punita severamente. Il primo Natale trascorso in Libia andammo a prelevare un sacerdote a Tripoli che officiò la Messa in una sala predisposta nel nostro cantiere, ovviamente nella totale segretezza. Con questo comportamento i miei colleghi ed io ci siamo conquistati la stima e l’amicizia di molti libici. Pertanto, caro don Bruno (mi consenta la confidenzialità), quando vedo e leggo cosa sta succedendo in Italia fra crocifissi tolti dalle classi, impedimento al presepe e ad altre manifestazioni religiose, le confesso che più che rabbia provo un senso di sconforto e malessere che mi porterebbero a reagire contro coloro che permettono tutte queste umiliazioni nella nostra cattolica e storica Italia. Ben venga quindi un servizio civile obbligatorio che prepari i nostri giovani a ubbidire, a lavorare e a capire che prima dei diritti vengono i doveri e ad amare ed essere orgogliosi del nostro Paese. La ringrazio per l’attenzione e Le rinnovo i miei più sinceri auguri e complimenti per il giornale che dirige.

    Giuliano Muzio

    Caro Giuliano, non saranno gli immigrati a seppellire la nostra identità cristiana, che è storica e culturale prima ancora che confessionale. Siamo noi con la nostra indifferenza, con la strisciante convinzione che l’ateismo è una forma di emancipazione culturale, a mettere una pietra tombale sulla nostra identità. Comunque non bisogna demordere. I venti del rinnovamento sono sempre nati sulle apparenti ceneri delle minoranze.