Nel bosco di quelli che non sono tornati

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    Il Bosco delle Penne Mozze, a 37 anni dalla sua nascita, entra sempre più nell’immaginario collettivo degli alpini per la suggestione di un luogo aspro e incantevole, perfettamente idoneo a far riflettere sui patimenti e le tragedie delle penne nere. Non è sorprendente dunque se, domenica 31 agosto, migliaia di alpini con vessilli e gagliardetti, alcuni venuti da lontano come gli Abruzzi o Biella, tanta gente e il consiglio direttivo quasi al completo, con il Labaro e il presidente Corrado Perona, si sono raccolti a Cison di Valmarino nella conca che dà l’avvio ai ripidi pendii dove sono stati collocati i segni della memoria: 2.399 stele.

    La cerimonia vede coinvolte nell’organizzazione le quattro sezioni del trevigiano: Vittorio Veneto, Conegliano, Treviso, Valdobbiadene e ogni anno partecipano, con la collocazione di nuove stele, altre sezioni. Quest’anno è toccato ad Alessandria, Biella, Cividale lasciare un segno. A nome dei colleghi presidenti ha preso la parola Edoardo Gaia Genessa per sottolineare che se è un dovere di ogni cittadino onorare i Caduti di tutte le guerre, per gli alpini è anche un modo di testimoniare riconoscenza a chi ha sacrificato la propria giovinezza animato da un amor di patria che non deve spegnersi mai.

    Com’è ormai consueto, forte partecipazione di sindaci con i gonfaloni delle municipalità, due decorati di Medaglia d’Oro, Treviso e Vittorio Veneto, autorità civili e militari, tra queste il gen. Paolo Serra comandante della brigata Julia, alla vigilia della partenza con i suoi alpini per l’Afghanistan e designato ad assumere il comando del settore di Herat. A fare gli onori di casa il presidente dell’Associazione Bosco delle Penne Mozze, Claudio Trampetti che ricorda le tappe dell’attività del sodalizio e il presidente della sezione ANA di Vittorio Veneto Angelo Biz. Cerimonia semplice e per questo commovente, con l’alzabandiera, deposizione di corone e onori ai Caduti.

    L’austerità della vallata sembra sottolineare la solennità del momento e le note della fanfara di Cison di Valmarino, come le cante del coro di Vittorio Veneto, contribuiscono a creare un’atmosfera quasi sacrale anche ai riti civili. La messa, celebrata da mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, è seguita con intensa partecipazione da una folla che si è infittita col passare del tempo. Nell’omelia il presule con una profonda lettura del messaggio evangelico conclude ricordando che lo spirito di solidarietà, una costante nella tradizione alpina in ogni circostanza, fa parte di quei valori scaturiti dalla civiltà millenaria del nostro paese, in larga parte debitrice nei confronti del cristianesimo. E gli alpini nella loro semplicità e con la bontà che fa parte del loro DNA interpretano la religiosità nel modo più autentico: quella del dono gratuito.

    A conclusione prende la parola il presidente nazionale Corrado Perona citando le canzoni dei nostri veci: Quelli che son partiti non son tornati e che il Signore fermi la uère, che il mio ben torni al pais . Sono parole che esprimono senza retorica le sofferenze e i drammi di chi su questa terra ha lasciato solo un nome e spesso nemmeno quello. La voce del presidente ascoltata in un silenzio profondo si perde nella valle. Ed è proprio ai nomi leggendari e ai tanti ignoti che l’ANA vuole rendere onore nel 90º dalla fine della Prima Guerra Mondiale.

    Anche la cerimonia al Bosco delle Penne Mozze, infatti, s’inserisce nel programma delle celebrazioni per ribadire, se ce ne fosse bisogno, che siamo fermi nella determinazione di tramandare principi e tradizioni di chi ci ha preceduto. Gli alpini amano la pace perché conoscono gli orrori della guerra. Ma quando occorre sanno fare il loro dovere. Noi dobbiamo camminare per la stessa strada, pur nel cambiamento dei tempi, e non lasciare sfilacciare il tessuto associativo . Termina esprimendo la sua ammirazione per il bel bozzetto del monumento che la sezione di Vittorio Veneto ha in animo di dedicare all’alpino e al mulo. Sarà eretto su masso grezzo su un bel tappeto verde, a contatto con la gente.

    Pubblicato sul numero di ottobre 2008 de L’Alpino.