Mario Rigoni Stern

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    Ci sono luoghi che più di ogni altro legano la storia del battaglione Vestone e delle sue tre compagnie (53ª, 54ª e 55ª) a quella di Mario Rigoni Stern, sergente maggiore della 55a. Uno è l’osservatorio Torino di Cima Caldiera, sull’altipiano dei 7 Comuni. Su quella montagna erano posizionate le truppe italiane che nel giugno del 1917 lanciarono sanguinosi attacchi verso l’Ortigara, tenuta dagli austriaci. Nell’osservatorio, Rigoni mi mostrò una piccola lapide: è l’unica in Italia che ricordi la 55ª compagnia del battaglione Vestone, presente in questi luoghi durante la Grande Guerra e su tutti i principali fronti di guerra nella Seconda.

     

    Un altro luogo è proprio Vestone: il paese della Val Sabbia che diede il nome al battaglione, nel 1889; tanti commilitoni di Mario Rigoni Stern venivano da lì. Quando lo scorso dicembre sono stato invitato a Vestone per presentare la biografia di Rigoni (Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri) ho sentito forte l’affetto che lega quella gente all’uomo che con Il sergente nella neve ha reso celebri le fatiche e le sofferenze dei loro cari. Sì perché a Vestone i commilitoni di Rigoni non ci sono più, salvo Primo Zambelli, ma ci sono i figli e i nipoti di Monchieri, Cappa, Oppini, Dusi, nomi ben noti ai lettori de Il Sergente e di Ritorno sul Don.

    I suoi libri parlano di natura e di montagne da difendere, per non distruggere senza rimedio il futuro di chi verrà dopo di noi, ma in almeno quattro opere consegna alla memoria l’epopea e i sacrifici degli alpini nella Seconda Guerra Mondiale: Il Sergente nella neve, Quota Albania, Ritorno sul Don e L’ultima partita a carte.

    Lo scrittore di Asiago non ha mai amato la retorica, lui e il suo amico Primo Levi ripetevano spesso che gli orrori della guerra non vanno declamati o enfatizzati, «per farli comprendere, basta narrare i fatti esattamente come sono andati. L’orrore è nei fatti». Rigoni li ha vissuti sul fronte occidentale, nel maggio del 1940, in Albania, tra la fine di quell’anno e i primi mesi del 1941, in Russia, tra il gennaio del 1942 e il marzo del 1943. Sempre con il Vestone, salvo un periodo nel battaglione Cervino, tra il gennaio e l’aprile del ’42, sempre in prima linea, sia nei giorni del caposaldo sul Don sia in quelli della tragica ritirata di Russia, anche a Nikolajewka.

    Uomo sobrio, severo con se stesso prima che con gli altri, della medaglia d’argento ricevuta dopo la battaglia del 1º settembre 1942 non parla mai nei suoi libri; per conoscerne le motivazioni bisogna leggere quello del suo comandante di plotone, Cristoforo Moscioni Negri, che nel suo libro I lunghi fucili scrive: “Anch’io fuggii sull’inizio pensando solo a salvarmi, e provai la paura perché una gamba ferita al mattino non voleva più muoversi. Poi vidi più dietro di tutti, più vicino all’onda dei russi avanzanti, il sergente Rigoni che soccorreva un alpino. Non si curava di nulla Rigoni, e c’era davvero un inferno, ma solo dell’alpino ferito, di tirarselo dietro”. Da quel combattimento le tre compagnie del Vestone uscirono a pezzi: la 54ª ebbe 150 perdite tra morti e feriti, su 220 alpini di cui disponeva al mattino; la 55ª, quella di Rigoni, ne lamentò 140; la 53ª finì in condizioni simili.

    Il battaglione subì più perdite quel giorno che in tutta la Campagna di Russia. Ben quattro furono i libri scritti da uomini del battaglione Vestone, oltre a Il Sergente e a I lunghi fucili, vanno ricordati anche Vistù di Giobatta Danda e Ritorno, di Nelson Cenci, anche loro presenti nei caposaldi sul Don, nei giorni della ritirata e a Nikolajewka. Importanti le testimonianze di reduci del battaglione raccolte da Stefano Corsini nel suo Il battaglione Vestone dalle origini alla Seconda guerra mondiale.

    Nel 1977, quando l’Amministrazione comunale di Vestone gli conferì la cittadinanza onoraria, Mario Rigoni Stern avrebbe voluto leggere un breve testo che si era preparato, ma per la commozione non arrivò neppure a metà «…sono stati loro, i miei compagni, a farmi muovere la mano per scrivere; la loro amicizia è stata un impegno a “far sapere a tutti”, per raccontare la loro storia a quelli che li aspettavano invano e perché il loro sacrificio diventi olocausto di pace tra tutti gli uomini». Nell’occasione Rigoni donò alla biblioteca di Vestone il dattiloscritto de Il Sergente nella neve. Il monumento eretto nel 1963 alla memoria dei battaglioni alpini Vestone, Val Chiese, Monte Suello e Monte Cavento, riporta anche il nome di Giuanin, il commilitone de Il Sergente che nel caposaldo sul Don gli chiedeva “Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?”, l’alpino che li rappresenta tutti.

    Giuseppe Mendicino
    gmendic@gmail.com