Le trentatré cartoline

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    A volte in famiglia lo inducevano a rievocare le atrocità della guerra, l’esasperazione della trincea, gli assalti alla baionetta. La madre era sgomenta, ma voleva lo stesso sapere. «Ma Sandro, no te avaré mia copà qualche cristian quando che te eri in guera?» «Mama, mi no lo so, ma piutosto che lu m’avesse copà mi, l’è meio che mi abia copà lu!». La madre stravedeva per questo suo ultimo figlio maschio, per la sua allegria, le battute sempre pronte, la capacità di essere ottimista anche contro tutte le evidenze. 

    La famiglia era stata provata da gravi lutti e dissesti economici: nel giro di pochi mesi erano morti per un contagio quattro ragazzi che avevano tra i 18 e i 25 anni; ne era derivato un progressivo impoverimento, che li aveva resi da “possidenti” a “villici” (questi sono i termini usati nei registri anagrafici della parrocchia di Roverchiara, Verona). Il ragazzo, unico valido sostegno economico per i suoi, fu richiamato alle armi con il miraggio che la famiglia avrebbe avuto diritto a un sussidio, ma il sussidio non arrivò mai: forse non seppero abbastanza districarsi nelle complicazioni della burocrazia. Richiamato dunque alle armi e giunto in territorio dichiarato in stato di guerra il 22 settembre 1916, fu assegnato al 6º Alpini, battaglione Val d’Adige.

    Non aveva ancora 19 anni. Come è facile capire, alla partenza di un figlio per il fronte, la famiglia comincia a vivere aspettando che arrivi il postino. Così i ragazzi in trincea aspettano con altrettanta ansia la distribuzione della posta. Della corrispondenza inviata dal soldato Alessandro Mattiolo del battaglione Val d’Adige, restano 33 cartoline militari, conservate e poi quasi dimenticate tra i ricordi di famiglia. Tra queste, cinque sono cartoline illustrate e quindi affrancate a spese del mittente che non resiste alla voglia di scrivere qualche parola un po’ più libera sotto il francobollo. Le cartoline dal fronte, messe in ordine cronologico, lette e rilette attentamente, danno l’impressione di essere tutte uguali, compilate secondo uno schema obbligato: la censura militare era certo durissima.

    Dagli indirizzi militari si ricavano notevoli informazioni sugli spostamenti e le nuove assegnazioni ad altri reparti e Compagnie. Dapprima l’indirizzo è stato: Mattiolo Alessandro soldato 6º Alpini, battaglione Val d’Adige, compagnia di marcia, zona di guerra. Ma a partire dal 28 agosto 1917 l’indirizzo è un altro: M. A. soldato III battaglione d’Assalto, Compagnia Alpina, Reparto Scuola Arditi Seconda Armata Manzano Udine. Dal battaglione Val d’Adige era stato spostato al III Battaglione d’assalto e scelto per la Scuola Arditi nella caserma di Sdricca di Manzano.

    La caserma di Sdicca, sulla riva destra del Natisone è un vecchio rudere lasciato in abbandono; ora per il centenario le porte e le finestre sbrecciate appaiono infiorate dalle bandiere tricolori. L’effetto è anche più triste e miserevole. Qui il 29 luglio 1917 alla presenza del re, ebbe origine ufficialmente il Corpo degli Arditi, per iniziativa del generale Capello, del generale Grazioli e del tenente colonnello Bassi. Nella caserma di Sdicca i giovani erano addestrati alle azioni più temerarie, alle incursioni di sorpresa entro le linee nemiche, nella speranza che poi ne potesse approfittare il grosso della fanteria, per rendere più duraturi gli effetti delle prime azioni di sfondamento. Ma la fanteria era lenta e dotata di armi troppo pesanti e inadeguate.

    Gli arditi ottennero dunque brillanti successi tattici, che tuttavia strategicamente a poco servirono. Le cartoline spedite da Manzano sono 12: la prima il 28 agosto 1917, l’ultima il 5 ottobre 1917. Poi ci fu la disfatta di Caporetto e la ritirata sulla linea del Piave. Le date delle cartoline inviate da Manzano confermano che Alessandro Mattiolo prese parte alle operazioni della sanguinosa battaglia della Bainsizza combattuta tra l’agosto e il settembre 1917. Delle poche cose che gli fu consentito di scrivere è particolarmente significativo un passaggio nella cartolina datata 13 settembre: “Quando sono andato in combattimento il giorno 25 agosto ho trovato il Giarola, ma mi è rimasto indietro…”. Se la sarà poi cavata questo soldato Giarola?

    Nella cartolina successiva, scritta il 15 settembre, ancora si trova un riferimento all’azione del 25 agosto: “Io in questa tremenda azione sul Carso l’ho scampata bella”. Certo non poteva dire di più. Fu in quello stesso durissimo combattimento che riuscì a sottrarre ai colpi del nemico un ufficiale, il tenente Enrico Lebrecht, salvandogli la vita senza neanche pensare che metteva a maggior rischio la propria. In questa drammatica circostanza si incontrarono il ragazzo di campagna non ancora ventenne e l’ufficiale che di anni ne aveva quaranta, di origine ebraica, appartenente ad una delle famiglie più in vista di Verona.

    Il tenente Lebrecht, poliglotta e in possesso di due lauree, animato da esaltante patriottismo, aveva chiesto e ottenuto di essere spostato dal fronte della Macedonia (dove era addetto ai Servizi Sanità e anche alla censura postale militare) a un teatro d’azione più impegnativo e diretto, così venne assegnato alla caserma di Manzano. È improbabile che si sarebbero mai conosciuti altrimenti. Nacque un legame che durò per il resto della vita, malgrado le irriducibili divergenze politiche. L’alta borghesia veronese aderì al fascismo e i Lebrecht non fecero eccezione: come Enrico aderì al fascismo anche il più illustre fratello Danilo, di parecchi anni più giovane, che fu tra i fondatori della rivista letteraria La Ronda e firmò ogni sua opera con lo pseudonimo di Lorenzo Montano.

    Mio padre al contrario nutrì fin da principio diffidenza e poi anche avversione per l’ideologia dominante, non si iscrisse mai al partito e il mancato possesso di quella tessera gli bloccò in qualche occasione l’avanzamento nella carriera; rifiutò di partecipare alle adunate del sabato pomeriggio, ricevendo puntualmente la cartolina gialla di ammonimento. L’avevo lasciato all’ultima cartolina da Manzano, scritta il 5 ottobre 1917. Poi alcuni mesi di silenzio fino al 17 gennaio 1918, quando riprese i contatti con la famiglia da Piazzola sul Brenta, una zona molto meno pericolosa, dove era entrato a far parte della Terza Compagnia Lavoratori.

    Aveva ritrovato ottimismo e l’allegria e concludeva con una battuta di spirito: “Tutti i miei pidocchi vi salutano”. Ma dal primo marzo 1918 le cartoline risultano spedite da una nuova zona di guerra: nel riordino disposto dopo la disfatta di Caporetto, nel nuovo ruolo assegnato agli arditi superstiti, era stato inserito nel 3º Alpini, battaglione Pinerolo, prima sezione mitraglieri Fiat e mandato a combattere sui ghiacciai dell’Adamello, a 3.000 metri. In brevissimo periodo dovette dimostrarsi scalatore e sciatore provetto. Ardito del battaglione Pinerolo prese parte alla cosiddetta “battaglia bianca” nella conca del Presena, combattuta tra il 25 e il 27 maggio 1918. Ferito a una gamba fu soccorso da una famiglia che abitava in una frazione sopra Ponte di Legno: le donne non esitarono a strappare due tovaglie per ricavarne strisce adatte alla fasciatura.

    Dal fronte dell’Adamello- Tonale riportò un foglietto ripiegato che ad aprirlo si è diviso in quattro parti: contiene una poesia composta di otto strofe di sei versi ciascuna dal titolo La battaglia bianca – Tonale 25-26 maggio 1918. L’autore si firma: Giovanni dalle Bande Azzurre, con evidente richiamo al celebre condottiero rinascimentale Giovanni dalle Bande Nere. Mio padre inviò ancora due cartoline dall’Adamello, la prima alla famiglia in data 21 luglio e la seconda alla sorella in data 28 agosto 1918. Sotto il francobollo ancora si può leggere: “Spero venire in licenza fra qualche mese”. Alla fine partì il giorno 11 dicembre 1918 e fu inviato in congedo il 9 novembre 1919, col pagamento della indennità di lire 230. Il 30 novembre avrebbe compiuto 22 anni.

    Nel foglio matricolare è annotato: “Concessa la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore; decorato della croce al merito di guerra in data 20 aprile 1919. Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della vittoria; autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa nazionale della guerra 1915-1918 e ad apporre sul nastro della medaglia le fascette corrispondenti agli anni di guerra”. Fu sempre orgoglioso di essere stato alpino. Delle sue imprese di ardito parlava solo se qualcuno lo pressava con insistenza, la guerra lo aveva cambiato, aveva ora scarsa attitudine a fregiarsi di alcunché. Morì il 27 ottobre 1941.

    Dall’Arena quotidiano veronese di mercoledì 29 ottobre 1941, nel trafiletto del breve notiziario si legge: “Invito agli Arditi – Gli arditi d’Italia sono invitati oggi alle ore 16.30 sul piazzale del Cimitero monumentale per partecipare ai funerali dell’ardito di guerra Alessandro Mattiolo”. Era ancora giovane.

    Enrica Mattiolo
    enricamattiolo@gmail.com