La fine e la rinascita

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    La stretta di una mano invisibile ha afferrato un pezzo di quell’Italia colpevolmente misconosciuta al turismo, i cui borghi medievali si sono arresi alla forza muta del terremoto. Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria alle 3.36 del 24 agosto hanno tremato. Per molti è stata solo paura, per alcuni la fine. Saranno poco meno di 300 le vittime.

    Un numero altissimo considerata la densità di popolazione di queste zone che trovano nuovo vigore durante l’estate quando si aprono le seconde case e giovani e bambini affidati ai nonni gironzolano per le vie. Un’area sismologica molto attiva, «ogni dieci anni circa c’è un assestamento. Lo sappiamo» ammette Mauro Corradetti, coordinatore della Protezione Civile della Sezione Marche. Al telefono, la voce concitata si affretta a raccontare scossa è stata forte, ma nessun danno. Solo qualche crepa.

    Dopo un’ora, verso le 5 della mattina, un’altra scossa. Allora molta gente si è riversata in strada per la paura. Impossibile riprendere sonno. Ho acceso la tivù per capire cos’era accaduto. Solo la luce del giorno però, ha delineato i contorni di quanto era accaduto. Una tragedia». Nel mezzo di due aree naturali, a nord il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e a sud il Parco nazionale del Gran Sasso e i Monti della Laga, sorge Arquata del Tronto con la frazione Pescara. Dalla fitta vegetazione che cresce protetta e selvaggia spuntano un mucchio di case addossate l’una all’altra. Tra i vicoli, su alcuni architravi delle porte delle abitazioni più antiche si scorgono stemmi e date. In uno si notano scolpite in bassorilievo un paio di forbici poste al centro della data 1410, fu la bottega di un sarto o di un tosatore di pecore.

    «Pescara del Tronto è scomparsa. Come fosse caduta una bomba dal cielo» mi dice Mauro. La traccia millenaria di quello splendido Medio Evo si è sbriciolata e ora giace ammucchiata in polvere che pare cenere sulle strade lastricate di pietre. «Pensa però, il nostro Rifugio a Forca di Presta distante una manciata di chilometri, è intatto». La voce cresce di un tono e prende coraggio. «Ad Arquata la situazione per fortuna è un po’ diversa. Ci sono molte case lesionate ed altre invece agibili. Le persone sono state ospitate negli alberghi e dai parenti ad Ascoli o a Roma. Il timore più grande era lo spopolamento, invece siamo rimasti meravigliati dall’attaccamento dimostrato per questi luoghi. Servivano segnali immediati per evitare lo sconforto, e sono arrivati». La Colonna Mobile dell’Ana, attivata per la prima volta dopo alcune settimane dal sisma, è stata inviata ad Arquata del Tronto.

    Il ministro Giannini ha voluto che le scuole rispettassero l’apertura prevista per il 15 settembre e così è stato. «Gli alpini di Belluno e di Treviso hanno lavorato giorno e notte a montare le tensostrutture. All’interno sono state sistemate diverse tende per ricreare aule e spazi comuni». Un’estate che si allungherà forse oltre il solstizio, destinata a finire però con l’arrivo della stagione fredda che qui vuol dire neve. Il gruppo alpini di Arquata del Tronto ha perso i luoghi che hanno ospitato innumerevoli volte le sue cerimonie. Ma come è costume della gente di montagna, non si arrende.

    «Sappiamo che ricostruire la piccola frazione di Pescara sarà impossibile» continua Mauro, «ma la voglia di vivere è più forte. E allora la piazza sorgerà qualche centinaio di metri più in là, così il municipio e l’ufficio postale. Un nuovo assetto a cui bisognerà abituarsi». Rimarrà il ricordo, come porto nella tempesta. E quando anche l’ultimo riflettore dei grandi media si sarà spento, in mezzo a questa gente resteranno gli alpini, capaci di ricostruire con calce e cemento la voglia di vivere.

    Mariolina Cattaneo