La ferita riaperta

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    Dei giorni appena successivi alla grande scossa del 2009 in Abruzzo ricordo la sofferenza delle persone, lo sconforto per essere stati sradicati dalle proprie case e l’incertezza dei giorni nelle tendopoli. Su tutte l’immagine di un anziano in un campo, in fila per il pasto serale. Le guance scavate ancora sporche di terra, una ferita sul naso. Coppola in testa, indosso un maglione pesante di due misure più grande. Tra le mani una vaschetta di pasta e una latta di carne in scatola. Lo sguardo fisso nel vuoto, il terrore ancora negli occhi.

    Quello stesso terrore è riaffiorato poco distante sette anni dopo, la notte del 24 agosto, quando una scossa ha percorso come un brivido sulla schiena i Monti della Laga e i Sibillini, portando morte e distruzione.

    Giovanni Natale, Presidente degli alpini abruzzesi, ha intuito subito che quella non era una scossa come le altre. È salito in auto e prima dell’alba ha raggiunto Amatrice: «Nelle frazioni più a monte vedevi un po’ di persone in strada, ma non c’erano danni rilevanti alle abitazioni. Quando siamo arrivati ad Amatrice passando accanto al Centro don Minozzi abbiamo visto il disastro. Nella piazza e sul corso principale decine di persone uscivano a fatica dalle rovine. Ed erano passate già tre ore dal sisma». «Un paesaggio spettrale», racconta Natale. «I più fortunati fissavano impietriti le macerie della loro casa, il loro mondo che non c’era più. E la polvere era dappertutto, offuscava l’ambiente, copriva persone e cose. Alcuni, con la voce rotta dalla paura, ti dicevano che in quel punto c’erano delle persone sotto i detriti che chiedevano aiuto. E tu, nella concitazione di quegli istanti, ti sforzavi di trovare un pertugio per tentare di salvarli».

    Sul posto sono intervenuti per primi i nuclei cinofili e le squadre alpinistiche Ana “L’Aquila 2” di Vaccarelli e quella di Sulmona, «ma essendo in territorio fuori Regione (Amatrice è nel Lazio pur essendo il gruppo alpini della Sezione Abruzzi, n.d.r.) non abbiamo potuto fare di più, perché tutte le decisioni di intervento sono prese a livello istituzionale e noi dovevamo attendere la richiesta ufficiale del Dipartimento».

    Non c’è stato nemmeno il tempo di pensarci più di tanto, perché il terremoto non ha dato tregua e con la seconda forte scossa sono entrati nel cratere sismico anche i territori dell’Abruzzo confinanti con il Lazio, dove si trovano i gruppi alpini di Cagnano, Campotosto, Capitignano, Marana, Montereale, Rocca Santa Maria e Valle Castellana. È qui che i volontari abruzzesi, al seguito della Colonna Mobile regionale e di quella Ana, hanno allestito cinque tensostrutture con lettini e garantiscono la presenza giorno e notte. «Abbiamo inoltre due campi in altrettante frazioni di Accumoli che accolgono circa 150 persone – ricorda Natale – e siamo intervenuti con mezzi e una cucina mobile per fornire i pasti».

    Proprio ad Accumoli solo un mese fa era nato il Gruppo della Sezione di Roma. Conta circa 60 iscritti e una fanfara che purtroppo ha perso uno dei ragazzi che suonava il rullante, morto sotto le macerie della casa dove viveva. A inizio settembre, durante il raduno della Sezione Abruzzi a Castellalto, l’abbraccio è stato tutto per gli alpini e le popolazioni terremotate, in particolare per il Capogruppo di Campotosto Alfredo Perilli e per quello di Amatrice, Fabio D’Angelo, che con la famiglia dorme in strada, nei lettini e nelle tende portati dagli alpini, in attesa di conoscere l’agibilità del condominio dove abita. Ed è lì, nei pressi di casa sua, che si è creato, com’era abitudine una volta sugli usci delle abitazioni, un luogo di aggregazione per la comunità, perché la quindicina di bar di Amatrice, luoghi prediletti d’incontro davanti ad un bicchiere o ad un caffè, sono stati spazzati via.

    Per tutti i terremotati nei mesi a venire gli alpini abruzzesi continueranno il loro impegno nell’assistenza e nella ricostruzione perché, come c’era scritto su uno striscione portato in sfilata a Castellalto, hanno “Amatrice nel cuore”.

    Matteo Martin