LA BATTAGLIA DI STALINGRADO

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    Il 19 novembre 1942 l’Armata Rossa lanciò l’operazione Uranio, il contrattacco alle divisioni del Reich schierate lungo il corso del Don davanti a Stalingrado. Era l’inizio della fase discendente – come racconta nel suo recente libro Alfio Caruso, giornalista e storico – di quell’esercito che sembrava invincibile, bloccato da un anno a Leningrado, sul fronte nord, e che avrebbe conosciuto la seconda, strategica sconfitta sul fronte africano, a El Alamein. E dire che, nel lanciare l’attacco all’Unione Sovietica con l’Operazione Barbarossa, Hitler riteneva un obiettivo di secondo piano l’occupazione di Stalingrado rispetto alla conquista dei territori del Caucaso ricchi di petrolio e di grano.

    Per la prima volta i soldati tedeschi incontrano nemici più determinati di loro, feroci, disposti a morire pur di non cedere di un metro. Del resto, gli ordini di Stalin sono perentori: chi arretra sarà fucilato e la sua famiglia subirà le conseguenze del tradimento. Altrettanto perentori sono gli ordini di Hitler, che impedisce a von Paulus di ritirarsi dalla sacca. Ormai quel che resta dell’armata è allo sbando. Il 30 gennaio, tre giorni prima della resa, Göring sproloquia alla radio che i russi sono allo stremo e i tedeschi ne fanno carne da macello e paragona l’eroismo dei soldati del Reich a quello dei Nibelunghi e degli Spartani alle Termopili.

    È il giorno in cui Hitler nominerà von Paulus feldmaresciallo, con l’implicito invito a non farsi catturare vivo dal nemico. Ma il neo feldmaresciallo confida ai suoi collaboratori che non ha “alcuna intenzione di rendere tale favore al caporale austriaco”. Anche dopo la resa di von Paulus i corpo a corpo continueranno, perché i tedeschi rifugiati nelle cantine, nei cunicoli e nelle condotte del sottosuolo continueranno a difendersi dai sovietici che usano l’esplosivo per stanarli in una caccia all’uomo che non conosce pietà.

    Dei 290mila soldati della Wehrmacht imbottigliati nella sacca sono 90mila quelli che si arrendono: di questi, 80mila moriranno nei primi tre mesi, soprattutto nella lunga marcia verso la prigionia. Solo 6mila rientreranno in patria dopo una detenzione nei terribili campi durata anche tredici anni. Non diversa sarà la sorte dei 77 italiani rimasti intrappolati nella sacca di Stalingrado: sono i genieri incaricati di raccogliere legna da portare alle basi di Millerovo e di Vorosilovgrad. Solo due rivedranno l’Italia.

    Giangaspare Basile

    ALFIO CARUSO

    LA BATTAGLIA DI STALINGRADO

    Pagg. 155 – euro 11,60. Longanesi Editore, Milano, www.longanesi.it