Il vescovo Bonicelli: 'Io sono uno di voi…'

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    La Messa celebrata nella basilica cattedrale dal vescovo monsignor Cesare Bonicelli è stata uno dei momenti più significativi dell’Adunata. Perché è stata una nuova dimostrazione che l’alpinità può essere vissuta anche in chiave salvifica, così come lo è stato per il beato don Pollo, don Gnocchi, monsignor Enelio Franzoni medaglia d’Oro al Valor Militare le cui parole, al recente convegno della stampa alpina a Imola, ci hanno tanto spronato. Io sono uno di voi , ha detto il vescovo rivolgendosi agli alpini che gremivano la cattedrale e a quelli che dal grande schermo seguivano la Messa nell’antistante piazza.

    Non vi nascondo che presiedo questa Santa Messa con un po’ di commozione: negli anni ’57 58 sono stato nella 51esima compagnia del battaglione Edolo, 5 reggimento della brigata Orobica . Qualche secondo di silenzio, poi è esploso un lunghissimo applauso, che ha certamente rincuorato il presule alpino. Il quale ha spiegato di essere diventato prete dopo aver svolto il servizio militare. Io prego per voi e con voi ha proseguito e, soprattutto, prego per tutti gli alpini che sono andati avanti, che sono morti in guerra o in tempo di pace . Accanto all’altare c’era il Labaro, il Gonfalone del Comune e della Provincia con il nostro presidente Perona, il sindaco Ubaldi, il presidente della Provincia Bernazzoli, il generale Bruno Iob che comanda le Truppe alpine e il Consiglio direttivo nazionale al completo.

    Il vescovo, all’omelia, ha pronunciato un discorso che vogliamo riportare perché siamo certi che come ha fatto bene a noi, nell’ascoltarlo, farà bene anche a tutti coloro che lo leggeranno su queste pagine. Guardo a voi con simpatia ha esordito il vescovo alpino tutti noi siamo stati alpini: quasi tutti lo siamo stati per dovere, perché ce lo ha chiesto la Patria; qualcuno lo è stato per scelta, altri per gusto di avventura, altri per fedeltà alla propria terra o alla storia della propria famiglia. Qualunque sia la ragione per la quale siamo stati alpini, quel che conta è che quell’esperienza ci ha segnato, tanto è vero che siamo qui.

    La naja alpina ci ha toccato dentro, ha toccato il nostro spirito, ci ha insegnato a vivere in un modo convinto, con impegno, nei compiti piccoli e grandi della vita; ci ha insegnato a vivere con coraggio e umiltà, con simpatia e umanità, a porre a servizio degli altri la propria vita, il proprio entusiasmo. Guardando a noi, alpini, mi viene da dire che la nostra Italia è viva, è giovane, porta in sé il coraggio di guardare avanti. Nella nostra vita di tutti i giorni noi siamo impegnati a far vedere la grandezza di quello che abbiamo vissuto. Stiamo celebrando la Messa per la festa della Pentecoste: Pentecoste è la festa che 50 giorni dopo porta a compimento la Pasqua. Il primo racconto ci ha narrato la costruzione della torre di Babele, il racconto della grande arroganza dell’uomo.

    Perché gli uomini non vanno d’accordo, perché sono divisi, perché ci sono le guerre? Perché gli uomini vogliono costruire la città da soli, con la loro presunzione, vogliono essere i padroni della storia ed eliminano Dio. Ma senza Dio non si va lontano, c’è la confusione e la violenza, c’è l’odio, trionfa la divisione. Dove c’è Dio c’è l’amore, la comunione, la pace. Il mondo negativo di Babele fu sconfitto il giorno di Pentecoste. A Pentecoste, come ha detto Gesù nel Vangelo, il fiume d’acqua viva dello Spirito viene effuso sui credenti, così come aveva promesso lui. A Pentecoste è nata la Chiesa, cioè l’umanità nuova, guidata dall’amore.

    La Chiesa è il dono più grande che Dio fa agli uomini perché questi vivano nell’amore, nell’unità, nella pace. San Paolo sapeva bene che la vita è dura, perciò ha scritto che la creazione geme e soffre. Gli uomini sono allora degli sconfitti? No, perché nella speranza siamo stati salvati da Cristo e lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza . Noi siamo stati alpini, quindi soldati, e i soldati sono stati inventati per fare la guerra. Per grazia di Dio ha proseguito il vescovo pochi di noi hanno combattuto in Albania o in Russia o altrove. Nessun alpino ha mai amato la guerra, tutti hanno sempre amato la vita, la pace, il proprio lavoro, la propria terra.

    Il loro ideale è sempre stato quello del tornare a baita, di tornare a casa. Guardando la croce di Cristo noi alpini abbiamo sempre capito che il mondo è salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori, e noi non abbiamo mai voluto essere crocifissori. Uno dei nostri motti è lent ma seguent : la pazienza è sempre stata una virtù degli alpini: l’impazienza degli uomini quanti disastri ha prodotto nel corso della storia! Perché dagli alpini è nato tanto volontariato? Perché noi siamo simbolo di impegno generoso, competente, sereno?Perché nel tempo nel quale siamo stati alpini è entrato dentro di noi il DNA della solidarietà, della condivisione, della semplicità, della gioia generosa, del servizio.

    Facendo l’alpino molti hanno vissuto anche momenti spirituali, momenti nei quali hanno sperimentato che Dio c’è; hanno sperimentato che il Signore rende la vita più libera, più bella, che l’amicizia a lui spalanca le porte della vita e dischiude le potenzialità della condizione umana. Don Carlo Gnocchi, il mitico cappellano della Tridentina in Russia, nel suo libro Cristo con gli alpini ha scritto: La religione per gli alpini non è mai un momento o un episodio, è una forma di vita, sangue e succo vitale, una disposizione permanente verso l’eterno che dà sapore e colore a tutte le manifestazioni della loro vita.

    Le loro idee religiose non sono numerose: Dio, l’anima, la Provvidenza e l’aldilà. La devozione e la preghiera dell’alpino sono forti e dirette: fatte di amore concreto e virile verso Gesù Cristo e la Madonna e poco più. Una religione non sentimentale, una religione soda, costante, parca di gesti e di parole, costruita sugli insegnamenti dei parroci delle proprie chiese . Cari alpini ha concluso monsignor Bonicelli partendo dall’esperienza della mia vita ormai lunga, con forza e convinzione vi dico: seguiamo Gesù, colui che è la vita, qui in terra e per l’eternità. Dio santo e misericordioso noi ti ringraziamo per il tuo Figlio Gesù: accogli presso di te in paradiso tutti gli alpini che sono andati avanti, specie quelli morti in guerra. Lo Spirito Santo riunisca tutti noi nell’unità dell’amore e faccia fiorire in tutto il mondo la pace, la pace .

    Non è stato certo per quel vezzo di applaudire anche ai funerali, ma è da un entusiasmo e da una condivisione di pensiero e di valori che gli alpini hanno fatto seguire all’omelia un lungo applauso, grati al vescovo che porta il cappello alpino di quanto aveva detto e di come lo aveva detto. Parole che in questo tempo, in cui qualcuno può sentirsi confuso, incerto, preoccupato, hanno portato nuovo entusiasmo e fiducia. La Messa, che è stata accompagnata dai canti del coro Monte Orsaro della Sezione di Parma, è stata conclusa dalle note del silenzio e dalla Preghiera dell’Alpino. Poi monsignor Bonicelli ha attraversato la navata stringendo sulla sinistra il bastone pastorale, benedicendo con la destra e portando in testa il cappello alpino.