Il mondo su due ruote

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    È un giorno qualunque di ottobre. Il cielo grigio e basso che scende e bagna le strade. Dal cancello del civico 3 di via Giuseppe Ba spunta una bici traballante per il peso delle borse, due davanti e due dietro, 35 chili in tutto. Paolo sorride nel breve video realizzato con uno smartphone dall’unico amico che è lì a vederlo partire. Un cenno di saluto, due pedalate, poi svolta a sinistra e va con i suoi pensieri, le sue paure, con la felicità di aver raggiunto un obiettivo. Così inizia il viaggio di Paolo, giovane uomo nato a San Giovanni Ilarione, nella media Val d’Alpone. Una laurea in Lettere e undici anni da vigile. È proprio durante il servizio nel centro storico di Verona, tra via Mazzini e Piazza Bra, che comincia a pensare a un’altra vita. 

     

    Un’esistenza che segua le sue inclinazioni capace di soddisfare quell’innata curiosità. La passione del viaggio e della bici si fondono. È ora di andare. Quando entra nei nostri uffici Paolo è insieme al papà Angelo. Tutti e due con il cappello alpino in testa, uno del 7º e l’altro del 6º, soldato e ufficiale. «Ecco il girovago. Secondo me è matto, ma cosa posso farci?» dice Angelo guardando noi della redazione. «Capisco che per i miei genitori sia stato un colpo. A loro ho detto che mi ero licenziato e avevo intenzione di partire quando ormai tutto stava prendendo forma.

    Lasciare un posto fisso per qualcosa di capriccioso come viaggiare lascia poco spazio alla comprensione, lo so». Da quel giorno di ottobre è passato oltre un anno. Paolo ha fatto il giro del mondo, o quasi. Dall’Italia ha raggiunto la Spagna, poi in aereo il Sud America, e da qui è volato in Giappone. Partito in traghetto verso la Corea del Sud, è giunto a Tallin. Ha attraversato l’Europa più fredda ed è rientrato in Italia dal confine orientale. Una strada lunghissima fatta di panorami e chilometri macinati sotto il sole, nella pioggia. O controvento: «Ero sfinito, arrabbiato. Avevo il morale a terra. In Argentina il vento mi ha messo alla prova, facevo lunghi tratti portando la bici nel tentativo di non cadere. Le raffiche erano fortissime».

    La mattina di Natale, nel suo diario giornaliero su Facebook, Paolo annota “Settantesimo giorno: buon Natale. Parto dall’ostello. Il mio regalo di Natale me lo fa il vento, per oggi si prende ferie. Arrivo il pomeriggio all’estancia Margherita dove pianto la tenda”. E il giorno dopo scrive “Salgo sulla bici, alzo le gambe e senza pedalare faccio i 28 km all’ora, misurati con il navigatore. Ma penso, a volte, di superare anche i 30. Arrivo a tre chilometri da un piccolo villaggio montano nella provincia di Santa Cruz. Da lì in poi non riesco più a salire in bici per il forte vento laterale. Dopo un chilometro a piedi, un poliziotto che passa di lì con la sua auto mi fa segno di salire e di caricare la bici sul cassone. Sono a Tres Lagos, scendo, lo ringrazio e pianto la tenda sul retro di un campeggio chiuso per le vacanze. Mi preparo un mate e un risotto in compagnia di un simpatico cane che ritrovo la mattina dopo, dormire accoccolato vicino alla tenda”. Ha incontrato tanta umanità in questo lungo viaggio. Come quando era a naja nel battaglione Feltre, poco distante da casa.

    Ricorda Santo e Fabio, «Eravamo come fratelli». E quelle sensazioni di vicinanza nelle difficoltà, di appartenenza a qualcosa di grande le avverte anche ora quando ripensa agli uomini e alle donne che lo hanno accolto in casa o in giardino. Allora Paolo interrompe il suo racconto. Le emozioni ribollono e vengono a galla prepotenti. La voce si rompe: «Non è facile fermarsi due o tre giorni, condividere la cena tra sogni e ricordi, e poi ripartire. Mi immaginavo di trovare là fuori il mondo che ogni giorno ci racconta la tivù. E invece ho scoperto tanta bellezza».

    Giorno per giorno, grazie a un sito internet tagliato su misura per i viaggiatori non convenzionali, Paolo trovava ospitalità lungo la strada. Erano paesini o villaggi, di rado grandi città, eppure ovunque ha trovato una porta aperta, un sorriso. Come l’anziana signora giapponese che vive sola e non parla una parola di inglese. Eppure, forse in ricordo di un viaggio a piedi di oltre 400 km che fece in gioventù, ha aperto la sua casa agli amanti della strada. «Come facevamo a parlare? Bè a gesti, ma soprattutto disegnando. Tanti fogli di carta e un po’ di fantasia». Volti su volti.

    Un lungo filo che ha saputo intessere una tela variegata piena di colori, fatta di lunghe giornate tra pensieri e spazi per riflettere. Di nostalgia per tutto quanto resta dietro le spalle. E di nuovi sorrisi come quello di Caterina una ragazza polacca di nemmeno vent’anni. «Sono rimasto con lei e la sua famiglia tre giorni. Prima di andarmene hanno chiamato parenti e amici per salutarmi. ‘Ti aspettiamo a Natale – mi hanno detto – qui c’è tanta neve. Ti piacerebbe sai?’». È l’immenso piacere di ricevere e dare che leggo negli occhi di Paolo. Due finestre spalancate sul suo mondo, capaci di raccontare tantissimo. Sono unici nel colore, vivaci e malinconici per vocazione.

    Sono loro il passaporto più autentico, insieme al risotto e al tiramisù cucinati nelle case di tutto il mondo. «Nei primi giorni di viaggio feci tappa vicino Genova tra Ronco Scrivia e il passo dei Giovi. Vidi una casetta con un bel disordine operoso. Se si sanno leggere, le case dicono molto su chi ci sta dentro. Trovai una bella famigliola che mi accolse facendomi il terzo grado. Giustamente. Avevano un cane che si chiamava Moser e un gatto, Coppi. Non potevo trovare una famiglia migliore. Verso l’ora di cena la figlia mi portò il polpettone genovese, che non sapevo neanche cosa fosse e una crostata con un cuoricino di pasta frolla. Quando raccontai questa storia in Cile a un ragazzo italiano di Busalla, mi disse che era strano perché la gente di Genova è molto chiusa.

    A volte abbiamo pregiudizi anche su noi stessi». Lo scorso 27 agosto Paolo è tornato dopo 314 giorni di viaggio, 9mila chilometri di pedalate. Da qualche settimana lavora come bagnino in una piscina vicino casa, ma è una condizione di passaggio. I sogni non gli mancano, anche se forse il traguardo più importante lo ha tagliato alla partenza, il 17 ottobre di un anno fa. Si è liberato delle paure e ha dato ascolto a quella voce che parla a tutti noi, ma che spesso mettiamo a tacere. Ha seguito la sua strada, ognuno lo dovrebbe fare. Non importa dove ci conduca purché sia la nostra.

    Mariolina Cattaneo
    lalpino@ana.it