Il grazie dell’ANA a don Gnocchi e alla Fondazione

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    Quella del 25 ottobre 2009 resterà nel cuore degli alpini come una data davvero gloriosa: don Carlo, quello che tutt’ora gli alpini considerano il loro cappellano, è salito agli onori degli altari e lo ha fatto in una giornata con un clima stranamente mite ed uno splendido sole, con l’abbraccio di decine di migliaia di persone in piazza del Duomo che hanno seguito la cerimonia con un’attenzione ed una devozione commovente quanto imponente è stato l’ascolto della diretta televisiva, prova del segno profondo che don Gnocchi ha saputo tracciare in questo mondo. Io non ero tra le decine di migliaia di alpini quella splendida mattina.

    Dopo i fasti della cerimonia, la Fondazione e, il suo presidente, mons. Bazzari, hanno voluto regalare agli alpini milanesi una serata più intima , a titolo di ringraziamento per l’opera svolta nel corso della cerimonia di beatificazione. E così il 24 novembre, nella cappella del Centro di via Capecelatro ci si è ritrovati per suggellare ancora una volta l’amicizia ed il legame naturale che vi è tra la Fondazione di don Carlo e i suoi alpini.

    La lettura di alcuni passi tratti dalle opere di don Carlo, sostenuta dalle cante magnifiche del Coro ANA di Milano, ha consentito una lunga serie di riflessioni sugli alpini e su quanto questi uomini della montagna semplici e buoni avessero inciso nell’anima di don Gnocchi, quanto gli avessero inconsapevolmente insegnato e come il dolore profondo provato dal cappellano alpino si fosse, poi, trasformato in una potentissima energia al servizio dell’uomo, del debole, proprio nel ricordo di quelle migliaia di ragazzi morti nel fango dell’Albania, nella sconfinata e gelida steppa russa.

    Alla fine della serata proprio a me, che non avevo partecipato alla cerimonia di beatificazione per un impegno associativo altrove, è capitato in sorte di portare il saluto dell’ANA ed il ringraziamento alla Fondazione e a mons. Bazzari per l’amicizia e la vicinanza che sempre ci dimostra e per la cura con la quale mantiene ed espande la baracca di don Carlo. Ma il ringraziamento più importante è stato per don Carlo, per la via che ci ha saputo mostrare e che gli alpini seguono con sicurezza e caparbietà perché hanno compreso che quella esortazione Amìs ve raccomandi la mia baracca non doveva essere intesa in senso strettamente letterale, ma che la baracca era uno stile di vita.

    Rincorrendo quel sorriso e quella serenità gli alpini hanno imparato quella importantissima lezione e l’hanno a tal punto interiorizzata da aver tramutato il culto della memoria in un’attività dinamica, per non dire frenetica, che può ben essere riassunta nel motto Ricordiamo i morti, aiutando i vivi .

    Cesare Lavizzari

    Pubblicato sul numero di febbraio 2010 de L’Alpino.