Il cappello in eredità

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    Mi piacerebbe pensare che un domani il mio, e se vi piace i nostri cappelli alpini, possano andare di diritto ad uno dei figli, senza distinzione di sesso, ereditandone loro la responsabilità alpina di conservazione e preservandone cosi, anche la tradizione. Un bell’atto, quasi notarile, stipulato sotto il tetto di casa. 

     

    Il mio lo uso giusto un paio di volte l’anno quando eseguo lavori di pulizia di un vecchio muro a secco che ritengo essere comunale quindi della comunità. L’attività è di poca spesa, stimola silenziosa il mio orgoglio alpino e mi fa ritornare ventenne per qualche ora. Quest’anno, causa un brutto incidente al pollice destro, sono stato aiutato da mio figlio che ha condiviso con me, tra l’altro, i commenti positivi di chi transitava su questo storico percorso confinale del paese. Da ciò, lo spunto. Ovviamente è solo un’idea. Vorrei approfittarne per salutare i commilitoni del 4º/’76 btg. Morbegno, 44ª Compagnia ed in particolare il mai dimenticato Mauro Bettiga, di Olgiasca.

    Renato Arrighi Gruppo di Uggiate Trevano, Sezione di Como

    Caro alpino, penso che non solo non dovremmo fare testamento per dire a chi lasciare il nostro cappello, ma dovrebbero essere i nostri cari a contenderselo come una reliquia. Mi ha fatto molta impressione la richiesta che mi è arrivata da un carissimo amico, più giovane di me. Non senza una certa delicata titubanza mi ha detto: «Io ho solo un sogno, se tu dovessi mancare prima di me. Poter custodire il tuo cappello, quello che io avrei voluto indossare, se non mi avessero mandato in un’altra specialità d’arma, e che ho sempre ammirato come il simbolo dell’Italia migliore».