Guerra, amorose e cantine

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    Sabato sera tutti a teatro. In scena la compagnia “canzonE teatro”: un manipolo di alpini musicisti e attori ingentiliti dalla presenza femminile di Ada Prucca. “Bello far l’Alpino, ma scomodo…”, uno spettacolo che fa intuire il tono, leggero ma non frivolo, divertente ma non privo di momenti toccanti, al quale l’ormai consolidato gruppo di amici musici si è attenuto.

     

    Il titolo rivela la costruzione seria e intellettualmente accorta della struttura della rappresentazione, in quanto riecheggia “La guerra è bella ma è scomoda”, libro di Paolo Monelli, al quale gli autori si sono ripetutamente ispirati, come correttamente indicato dal sottotitolo “Appunti di Paolo Monelli su guerra, amorose e cantine”. Paolo Monelli (1891-1984), convinto interventista, fu volontario nella Prima Guerra Mondiale con il grado di sottotenente degli alpini, compì imprese eroiche che gli valsero medaglie e promozioni, partecipò alle battaglie più importanti e fu fatto prigioniero.

    Ripensando alle sue esperienze di guerra, giunse a commentarle così: «È mia ricchezza segreta e indistruttibile questa esperienza che non vorrei non avere avuto». Ma torniamo allo spettacolo andato in scena al Teatro Baretti. Brani in prosa e canzoni si sono susseguiti armonicamente, in una gradevole varietà di registri linguistici (tanti dialetti: triestino, veneto, lombardo, ecc..) ed espressivi (comico, burlesco, serio, drammatico), e di ritmi musicali, spaziando da Nanni Svampa a Lelio Luttazzi a Paolo Conte e contemplando evergreen quali Signorinella pallida e Non dimenticar.

    La triade “guerra, amorose e cantine” ha avuto come baricentro il fiasco di vino – al centro della scena due sodali di bevute seduti ad un tavolino con sopra l’immancabile cappello con la penna da alpino e, appunto, il fiasco e i gotti – e ha costituito il leitmotiv della serata: la guerra, sempre presente, col suo carico di angoscia; la donna innamorata, che giura fedeltà ma magari non ad un solo spasimante; la cantina, allegramente saccheggiata come bottino di guerra: il vino, insomma, antidoto ai mali della trincea e della battaglia, dispensatore di quel po’ di gioia e di incoscienza necessarie per tirare avanti, per resistere al freddo e alla fame. Materiale vario e di per sé difficile da “maneggiare”: ma le idee che hanno sorretto lo spettacolo, scaturite dalle menti di Gian Carlo Bovetti e Mario Manfredi, hanno reso tutto molto intrigante e gradevole per il foltissimo pubblico che riempiva la sala.

    Una frizzante alternanza di voci narranti e recitanti: Bovetti seduto al tavolino con l’istrionico Luciano Turco, ottimo attore sia in italiano che in piemontese; gli interventi, sia recitati che cantati, della straordinaria Ada Prucca, sempre più brava ad ogni sua nuova esibizione e da qualche tempo in qua anche un po’ trasformista alla Brachetti. Da rimarcare soprattutto la magnifica interpretazione del monologo della madre che non ha fatto in tempo ad arrivare a consegnare l’esonero a suo figlio René, soldato partito per il fronte russo: splendido brano tratto dal libro “La tradotta” di Romano Nicolino.

    Ovviamente, il successo della serata è stato reso possibile grazie anche a tutti gli altri valenti artisti: con la sua voce calda e ricca di sfumature Attilio Ferrua dà il suo eccellente contributo, suonando pure la chitarra. E i musicisti, tutti bravissimi: il pianista Alberto Bovetti, il basso Gianni Cellario, i chitarristi Mario Manfredi e il già ricordato Attilio Ferrua, il batterista Gianfranco Re e il polistrumentista Corrado Leone, che colpisce per la disinvoltura con la quale passa dalla tromba alla fisarmonica ad ogni altro strumento, suonando sempre benissimo.

    Continui applausi hanno costellato i singoli momenti: pubblico divertito e commosso, serata memorabile, alla conclusione della quale tutti in piedi a cantare il nostro Inno nazionale. Con gli alpini e per gli alpini abbiamo riscoperto e fatto vibrare per un momento un po’ del nostro orgoglio nazionale. Il ricavato della serata è destinato alle popolazioni recentemente colpite dal sisma perché, come ha opportunamente e sinteticamente osservato nel suo intervento finale il Presidente nazionale Favero, gli alpini hanno sempre incarnato i valori dell’amicizia e della solidarietà: valori che non vanno semplicemente professati a voce, ma concretizzati nella realtà di tutti i giorni.

    Stefano Casarino