Estro di alpino

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    Tutto ha inizio un mattino di novembre. In via Marsala 9, gli amici della Sezione di Como ci recapitano una scultura. Al centro del lavoro campeggia la prima pagina de L’Alpino del mese di ottobre, quella sulla preghiera. È talmente perfetta che la tocchiamo e ci chiediamo se non sia, per caso, una riproduzione fotostatica. E invece no. È proprio tutta in legno scolpito e poi dipinto. Incredibile.

     

    Sotto ci sono un alpino e un bambino, anch’essi scolpiti, quasi dei piccoli gnomi, persi nell’etere dei sogni. Schegge di fantasia che vagano negli spazi della libertà. C’è una tale precisione di esecuzione che ne rimaniamo impressionati. Voglio saperne di più sull’autore. Anche perché non ci sono né targhe, né firme, quelle tanto care agli artisti consapevoli della propria arte. Le persone interpellate non ne sanno molto di questo personaggio. Mi riferiscono solo di aver saputo che la scultura l’ha fatta in quattro e quattr’otto, com’è nel suo stile, un certo Lorenzo Ceolin di Solbiate Comasco.

    Dopo alcune ricerche, finalmente eccolo dall’altra parte del telefono. Si scusa per non aver risposto prima. Ma il fatto è che lui insegna a ragazzi speciali e quando lavora non ce n’è per nessuno. Prima vengono loro, poi tutto il resto. Ascolto la voce di Lorenzo per capire quale personaggio ci sia oltre la cornetta del telefono. Di sicuro è un personaggio schivo. Mi parla molto degli altri, del dovere di darsi da fare per i più giovani, della bambina adottiva che ha a casa e che ama quel papà gioioso e giocoso, meglio e più che si trattasse di un personaggio dei cartoni.

    Si schernisce quando gli dico che voglio incontrarlo. Quasi a dire: ma non hai altro da fare, che perdere tempo a venire a cercarmi? E non sa che nulla incuriosisce di più un giornalista di chi si nasconde fingendo di non aver nulla da dire. Soprattutto se quello che dice, lo esprime al meglio con l’arte. È così che arriva il giorno dell’appuntamento. Durante il tragitto cerco di immaginarmi l’aspetto fisico del personaggio che tra poco mi troverò davanti. Lo immagino serioso e austero, a metà tra il monaco certosino e il sacrestano di buone maniere. Poi mi rendo conto che è un brutto segno se finiamo per confondere la creatività dei buoni con un’immagine stereotipa, fatta di rassegnato grigiore.

    Esattamente l’opposto di quanto realizzo quando mi si materializza davanti il Lorenzo Ceolin, per tutti il Ceo, in carne ed ossa. La barba da monaco ce l’ha, è vero. Ma è la barba di un monaco che non ha fatto i voti, né di castità e tanto meno di obbedienza. Anche per via di quella treccina finale, che nessun padre priore avrebbe autorizzato in un convento. Lui lo considera un vezzo, perché tutti – così afferma – siamo un po’ narcisisti. Come a dire che sono piccoli specchietti per allodole, giusto per richiamare l’attenzione degli altri. Prova di artista diciamo noi. Ma l’artista vero bisogna cercarlo negli occhi del Ceo.

    Occhi che ridono, mobilissimi e pieni di ironia. Basta fissarli un momento per scoprire che dentro c’è un bambino che sopravvive a dispetto dell’anagrafe. Un bambino che si rifugia nei sogni, nascondendo le paure e le incertezze dei piccoli, ma che poi butta fuori questi sogni, scolpendoli nel legno senza bisogno di pensarci, come se l’indole che viene dalla natura fosse più forte dei ragionamenti. Il Ceo è nato in terra lombarda, il 23 maggio del ’71, ma il cognome tradisce origini friulane, di Pordenone esattamente. Nel comasco è diventato grande coltivando due sogni, quello di fare il falegname e poi l’alpino, come lo zio Valentino e il capogruppo Carlo. Nell’adolescenza si coltivano i miti del successo. Spesso sono personaggi dello spettacolo o dello sport. Per il Ceo questi miti erano semplicemente il Carlo e lo zio.

    Del primo mi dice che è «l’allegria fatta persona. La gioia di stare al mondo». Del secondo mi racconta l’equilibrio, la competenza professionale, l’armonia di quell’alpino a tutto tondo che c’è sotto il cappello. Niente a che vedere con se stesso, ci tiene a precisare. «Ho un pessimo carattere » confida quasi scusandosi. Ma a smentirlo è la stessa moglie: «non finirò mai di dire quanto è bravo mio marito. Quanta attenzione ha per il sociale… la sua disponibilità senza misura». Anche lo zio Valentino ci conferma la generosità del nipote.

    «Perfino esagerata, la sua vitalità e dedizione agli altri. Peccato sia un disordinato che più di così non si potrebbe neppure immaginare », chiosa senza tanti giri di parole. Si sa che gli educatori puntano al metodo, dimenticando che gli artisti vivono di carisma. E il carisma è, di sua indole, libertà creativa che rasenta l’anarchia. Ascolta il Ceo. Ascolta le lodi che gli arrivano addosso. Sommessamente, quasi dovesse scusarsene, aggiunge: «Mi amareggio se una cosa è ingiusta, ma soprattutto sono proprio innamorato della vita». Tra gli alpini ci è arrivato, eccome. Esattamente tra i parà, a Bolzano. Ed è orgoglioso del Gruppo cui appartiene e di quello che fanno insieme. «Qui siamo una vera famiglia» precisa, illuminandosi negli occhi. Mi racconta che recentemente con alcuni di loro ha fatto degli interventi in un laboratorio dove vengono seguiti alcuni ragazzi down. «Ci hanno osservato con molta attenzione – ricorda il Ceo – poi uno di loro se ne è uscito lapidario: “non è vero che gli alpini bevono soltanto”».

    Una medaglia appuntata dalla voce degli innocenti, contro i luoghi comuni, che spesso credono di centrare il bersaglio, mentre in realtà neppure lo sfiorano. Il Ceo comunque la sua medaglia se la conquista giorno per giorno, lavorando con ragazzi disabili. Sono 98 complessivamente, suddivisi per piccoli gruppi, ai quali insegna a lavorare il legno. Si tratta di ragazzi con problemi caratteriali, con ritardi mentali, down… Ragazzi che uniscono ai deficit di partenza le fatiche di stare insieme nelle tante diversità. Eppure il Ceo, che si schernisce perché dice che questo lavoro lo fa per mantenere la famiglia e non per generosità, lo stile di famiglia lo porta in ogni posto dove arriva.

    «Non è difficile andar d’accordo con loro, mi confida stupito. Dopo un po’ che ci vivi insieme, li senti normali e tu uno di loro. E poi, dopo un po’ che insegni, scopri che loro sono altrettanto bravi quanto te. Con un po’ di manualità riescono a fare tutto ciò che fai tu. L’unico ingrediente di cui hanno bisogno è la tua passione». Sarà. Ma sono convinto che per fare certe cose ci vuole carisma. Carisma di artista, caro Ceo. E poi carisma di alpino, di uomo, di grande uomo… Perché essere così non fiorisce dal nulla.

    Bruno Fasani